Quand’ero piccolo, avevo paura delle lettere greche.
Le vidi per la prima volta in televisione, nella pubblicità dei biscotti al Plasmon. Alla fine di ogni carosello c’era un signore nudo, di spalle, che dava una martellata al rallentatore a non si sa bene cosa, sotto un frontone tra due colonne. Sul frontone, c’era scritto ???????. Una melodia -una nota ripetuta da un cantante, da un coro, non saprei, quella musica era misteriosa quanto il resto – intonava, appunto, plàs-mon. E una sottile angoscia s’impadroniva di me. Quelle lettere aliene mi turbavano. E cominciarono a turbarmi, da allora, ogni volta che mi capitava di vederle qua e là, sul muso di qualche nave al porto, su qualche giornale, su un camion in autostrada.
La paura prendeva corpo non semplicemente dal vedere quei segni strani e sconosciuti, dal loro essere estranei. Nasceva dall’ibrido delle lettere note e di quelle ignote. L’innesto in ciò che conosci di ciò che non conosci. Una mutazione. Forme abituali si accompagnavano a piccoli mostri aguzzi. Era come se una persona conosciuta, un viso familiare improvvisamente rivelasse un occhio strabico, un orecchio appuntito, un piede caprino, segni maligni e minacciosi.
Più di tutte temevo il sigma. Quello maiuscolo, l’unico che conoscevo. Era figura di punte, denti, lampi elettrici, fosse stato possibile toccarlo, sarebbe stato pericolosissimo. Somigliava ad una E, ma non lo era. Era una E feroce: mordeva. Come un cane che da lontano ti sembra di conoscere, buono, da accarezzare. Ti ci avvicini e ti stacca una mano ringhiando.
Poi, è passato qualche anno, e l’alfabeto greco l’ho ritrovato a scuola. Ma era un’altra cosa. Minuscolo, naif, fatto di morbidezze riccioli e svolazzi, studiato su lavagne e poi su quaderni e libri nei pomeriggi d’autunno, tra una merendina e un telefilm. Quel sigma capitale che mi terrorizzava, da minuscolo era una simpatica mascotte. Un sei sbilenco e grassoccio, goffo ed inoffensivo. Il sei che a stento, e non sempre, agguantavo a fine trimestre. Tutto si era fatto più modesto. Più studiavo epiche ed epopee più le cose diventavano piccole e noiose.
Ancora più tardi, mi sono ritrovato, una sera di fine agosto, sul ponte di un battello che da Patrasso mi avrebbe riportato verso casa. Il sole stava tramontando sul mare, e mentre con gli occhi socchiusi e già un po’ infreddolito lo guardavo affogare, una nave mi ha preso lo sguardo passando attraverso la luce radente. Sulla grande ciminiera bianca fasciata di blu, una sola, enorme lettera scura:
?
Un po’ per il vento che incalzava, un po’ per la tristezza della vacanza che stava finendo, che sembrava echeggiare altre fini ed altri inizi, ho avuto un piccolo brivido. Il cielo era diventato scuro ed ho aperto il mio libro pieno di lettere di cui non ricordavo più la forma. Stavo tornando a casa.
E’ bello leggerti. Ricordare il greco scolastico, meno.
Mbè, ma il “titolare” è in ferie ?