Cose ascoltate

Rischio immigrazione

Mettere insieme i pezzi, ricostruire qualcosa che restava indistinto nella memoria.
Il 5 febbraio 1970 va in onda la prima puntata di Rischiatutto.
Il 5 ottobre dello stesso anno (esattamente otto mesi dopo) esce Led Zeppelin III.
Sentite un po’ (link audio sottostante).

Immigrant Rischio

 

 

Vedi anche:

Surf’s not up

“I Beach Boys? Sono quelli di A ba-ba-ba ba-babberén, giusto?”

Sono anni e anni che mi ritrovo a sentirmi dire cose di questo genere, ed ogni volta mi affretto a spiegare con fervore da evangelizzatore che si, sono anche quelli, ma soprattutto un’altra cosa molto meno popolare -soprattutto qui in Italia- e infinitamente più preziosa, e cioè quelli che dal ’66 in poi hanno rivoluzionato il pop, ispirato direttamente i Beatles di Sgt. Pepper, creato quel capolavoro assoluto che è Pet Sounds eccetera. Loro, o meglio lui: Brian Wilson, genio del songwriting al pari di Burt Bacharach e Pul McCartney, uomo infelice dalla vita tribolata, miracolosamente sopravvissuto a se stesso, alle droghe, alla malattia mentale, alla incomprensione dei suoi compagni di viaggio musicale, capace di essere stato dapprima l’artefice di quelle canzoncine rock perfette, tutta energia adolescenziale mare sole macchine e ragazze, e poi il creatore di struggenti elegie pop sulla perdita, la mancanza, l’inadeguatezza (in musica come nell’immaginario che i testi proponevano).

the-beach-boysGiovedì scorso i Beach Boys hanno suonato a Roma, in quello che era il loro tour dei 50 anni di attività, una reunion avvenuta dopo anni di divisioni, malumori e ostilità. E senza Carl e Dennis Wilson, che non sono più su questa terra. I restanti hanno circa settant’anni (la numerosa e ottima backing band mediamente la metà o meno). Io sono andato, of course, a vederli, non senza un certo timore. Ed ecco cosa ho visto.

Prima del concerto, uno sguardo sul pubblico mi rivela persone molto variegate per età, con parecchi giovani e giovanissimi. Qualche orribile tenuta surf indossata da attempati fricchettoni, si, ma nei limiti del tollerabile. L’atmosfera è allegra e rilassata. Qualcuno canticchia, guarda un po’, Barbra Ann, e sembra sia venuto fondamentalmente per sentire quello.

Il concerto comincia puntualissimo. Parte la batteria energetica di Do it again ed il pubblico -me compreso- esulta. Entrano sul palco i musicisti. Cerco Brian, eccolo, arriva. Pallido, con espressione tetra e malaticcia, si sistema ad un pianoforte sulla sinistra del palco. E mentre gli altri danno il via a un concerto tosto, divertente, energetico, lui resterà lì per due ore e un quarto a far poco o punto. Senza sorridere mai, o quasi. Una testimonianza vivente (fossi cattivo, come Flaiano direi piuttosto morente) del suo dramma -della sua vita-. Lui, l’artefice di tutto, delle stupide e felici canzoni surf, e dei capolavori pop d’avanguardia, lui che litigò con lo stolido Mike Love (cui non piaceva Pet Sounds, che disprezzava Smile, e che avrebbe cantato in eterno solo le canzoncine per rimorchiare adolescenti), lui senza il quale non ci sarebbe stato il 90% della migliore musica in circolazione fino ad oggi, stava lì, attonito, immobile, a far finta di suonare ed ad ascoltare il concerto dei suoi compagni, i Beach Boys, quelli di Surfin’ UsaI get around, di Fun fun fun Help me Rhonda. Quelli che il pubblico si aspettava  e (ri)conosceva.

brian wilsonIo ascoltavo e ballavo esaltato, come tutti, felice di sentirmi rock’n'roll, giovane(?) e stupido. E ogni tanto mi chiedevo: ma qualche canzone posteriore al ’65, no?…

E a un certo punto è arrivato questo momento più Brian, diciamo. God only knows, Wouldn’it be nice, Heroes and vilains…

Ma non funzionavano, non c’entravano con questo concerto. L’andamento delle canzoni, la loro natura composita e sofisticata sommata alla cattiva acustica spezzavano l’effetto panzer, e sembravano creare un calo di tensione. Brian poi quando canta (lo ha fatto, ogni tanto) mi fa venire attacchi d’ansia simili a quelli che mi provocava Modugno al suo ritorno sulle scene dopo l’ictus (ce la farà a mantenere l’intonazione? La voce si sta per rompere? Dio, no, ti prego). Poi, la parentesi si è chiusa. E  siamo arrivati canzone dopo canzone, riff dopo riff, coretto dopo coretto, al gran finale al fulmicotone, bis, pubblico in visibilio. I musicisti -tranne Brian- tutti felici e quasi sorpresi da tanto calore.

E’ tutta qui la storia di questo (bel) concerto, che ha messo in scena, per chi voleva e poteva vederlo, la duplicità (nel caso di Brian, tecnicamente e patologicamente la schizofrenia). Un concerto divertente, trascinante, animato da un gruppo di energici vegliardi simpatici e in forma (solo Mike Love, devo dirlo, resta piuttosto antipatico. Il suo look, l’ho finalmente capito, è identico a quello di un camorrista dei Quartieri Spagnoli, con quella camicia da fuori e il cappellino da baseball. Il suo gestire allusivo e legnoso, pure). Ho ballato, e con me il pubblico, quasi tutto il tempo. E mi sono ricordato del bellissimo concerto che vidi all’Olympia di Parigi nel 2004: Brian Wilson presents SMiLE. Un altro concerto, in tutti i sensi possibili.

Se qualcuno mi chiederà cosa ho visto giovedì scorso, gli rispondero senz’altro: I Beach Boys. Quelli di A ba-ba-ba ba-babberén, hai presente?

Vedi anche:

Bambine in fiamme ed elefanti capovolti

Chi ci ricorda / 7

La gloriosa rubrica di confronti canzonettari ritorna qui con un bizzarro accoppiamento vintage-camp.

Brian Eno

Nell’anno di grazia 1974, Brian Eno, fuoriuscito dai Roxy Music ancora carico di piume e paillettes ma già geniale manipolatore di suoni, mette mano alla sua prima prova da solista, lato canzoni pop eterodosse, tra residui di glam e sperimentazioni geniali, che anticipano e tracciano la via di quasi tutto ciò che di buono sarebbe apparso sulla scena nei successivi vent’anni o giù di lì. Baby’s on fire è il suo primo singolo, che vede tra gli altri illustri ospiti Robert Fripp alla chitarra.

Ivan CattaneoIn quegli stessi anni, un giovane artista milanese, Ivan Cattaneo, cantante tra i primissimi a dichiararsi gay militante, si muoveva nei territori “alternativi” e creativi, anch’egli saturo di fondotinta e buone idee. Apparentemente originalissime, ma in realtà con un orecchio e forse due rivolte oltremanica, e proprio lì dove Eno aveva cominciato a seminare le sue intuizioni da non musicista mentre stappava il flacone di struccante. La somiglianza di L’elefante è capovolto?, uscito come singolo nel 1976 per la produzione di Roberto Colombo, allora considerato il Frank Zappa italiano, col brano di Eno, oggi pare evidente. Ma in un contesto nazionale in cui i modelli dominanti erano tristissimi cantautorate “impegnate” o terribili prolissità progressive, quel riferimento era una boccata d’aria fresca.
Poi venne Italian graffiati, e poi ancora Music Farm, e poi  non saprei. Ma questa è un’altra storia.

Brian Eno: Baby’s on fire / Ivan Cattaneo: L’elefante è capovolto?

  1. Brian Eno: Baby’s on fire (single version) (1974)
  2. Ivan Cattaneo: L’elefante è capovolto? (1976)

Vedi anche:

Liberi e belli

Lacca Libera e BellaPrologo.

Anni fa, certamente prima dell’11 settembre 2001, quando i talebani imperversavano in Afghanistan, e si moltiplicavano gli appelli umanitari, di solidarietà soprattutto alle donne umiliate, torturate, uccise, proprio in quel periodo collaboravo con un istituto “culturale”, qui a Napoli. Ogni lunedi ci si riuniva per definire i programmi, gli eventi da organizzare eccetera. Uno di questi lunedi, una ragazza, laureata in sociologia, mi racconta il contenuto della conferenza che avrebbe dovuto tenere lì, dopo un paio di giorni. In sintesi, affermava che, al di là delle superficiali apparenze,  la condizione delle donne afghane era pressoché identica a quella delle donne occidentali. Entrambe vittime, sebbene in forma differente, del potere maschile, dell’oppressione sociale.
Naturalmente
trasecolai, e le chiesi se non si fosse spinta un po’ troppo in là con il paradosso, con la provocazione. Mi rispose sorridendo, con l’aria compiaciuta di chi l’ha fatta grossa ma è sicura di passarla liscia, che no, non c’era nessun paradosso, nessuna provocazione. Lei davvero pensava quello. Mi guardai intorno aspettandomi stupori analoghi al mio. Invece, in quel gruppo di benestanti signore di buona famiglia e di migliori principii progressisti, di giovani e meno giovani volontari pieni di ardore, cultura e idealità, si mormoravano cose tipo “vabbè, magari è un po’ esagerato, ma in fondo… la società dei consumi, ‘sti americani… pure qua stiamo inguaiati, che mondo, che schifo… va sempre peggio…”

Statua della Libertà

Fine del prologo.

Qualche giorno fa ho partecipato, come esponente della comunità degli scriventi, ad una manifestazione organizzata da alcune case editrici contro il ddl Alfano sulle intercettazioni, dedicata alla Libertà d’espressione. Si trattava di Read more »

Vedi anche:

Consigli natalizi

Blue Gene Tyranny - Out of the blueQuesto post è dedicato agli happy few che condividono con me alcuni piccoli culti musicali.
Evento numero uno, di fondamentale importanza per le poche decine di persone al mondo che come me hanno adorato un piccolo prelibato disco degli anni ’80, rarissimo anche allora su vinile e poi diventato pressoché introvabile: il meraviglioso Out of the blue di Blue Gene Tyranny.
Ebbene, è stato finalmente ripubblicato su CD, e lo trovate su Amazon, cliccando sull’immagine a fianco (l’intero disco è scaricabile in Mp3 per la bellezza di $ 3,56, un paio d’euro!).
Per coloro che non lo conoscono, c’è poco da dire: fidatevi, è un disco imperdibile, delizioso, inclassificabile. Su Amazon trovate anche dei piccoli sample delle canzoni. Compratelo e non vi pentirete.

Evento numero due, passato misteriosamente sotto silenzio, almeno in Italia ed almeno per quanto mi riguarda. Lo sapevate che Burt Bacharach e Brian Wilson hanno scritto una canzone insieme, cantata da quest’ultimo e pubblicata su un disco strano che raccoglie classici riarrangiati e brani indediti di alcuni giganti della canzone americana (Bacharach e Wilson, appunto, Carole King, Kenny Loggins, Paul Williams ed altri)? 
New music from an old friendBè, sia detto senza nessuna intenzione blasfema, ma per me è quasi come sapere che il Padre e lo Spirito Santo hanno scritto insieme una preghiera (il Figlio sarebbe Paul McCartney, nella mia personale trinità pop).  Cliccando sull’immagine a fianco, si va su Amazon, per chi fosse interessato. A questo link info estese sull’album, con samples audio e video. Qui invece si può sentire in streaming tutto il disco, compresa la sopracitata canzone, sulla quale non mi pronuncio ancora. Va accostata con reverenza e giudicata con calma. E sarà comunque, temo, per quanto bellissima, al di sotto di quanto è lecito aspettarsi, per evidenti motivazioni teologiche.

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Verba Volant

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