Cose raccontate da altri

La vastità del tutto

Per caso, mi è capitata tra le mani una raccolta di saggi di Italo Calvino, nella quale ho trovato il brano che segue, del 1967.
Quando parla di comico, di ironia e di satira, si riferisce al campo letterario, ma è evidentemente un discorso applicabile a tutto l’ambito della comunicazione,
 forse anche oltre. Ed attualissimo.

L’elemento letterario del “comico” ha per me grande importanza, ma non è la satira l’atteggiamento che riconosco come a me più congeniale.
La satira ha una componente di moralismo e una componente di canzonatura. Entrambe le componenti vorrei mi fossero estranee, anche perchè non le amo negli altri.Italo Calvino Chi fa il moralista si crede più furbo, o meglio crede le cose più semplici di come appaiono agli altri. In ogni caso, la satira esclude un atteggiamento d’interrogazione, di ricerca. Non esclude invece una forte parte d’ambivalenza, cioè la mescolanza d’attrazione e ripulsione che anima ogni vero satirico verso l’oggetto della sua satira. Ambivalenza che se contribuisce a dare alla satira uno spessore psicologico più ricco, non ne fa per questo uno strumento di conoscenza poetica più duttile: il satirico è impedito dalla ripulsione a comprendere meglio il mondo da cui è attratto, ed è costretto dall’attrazione a occuparsi del mondo che gli repelle.
Quel che cerco nella trasfigurazione comica o ironica o grottesca o fumistica è la via d’uscire dalla limitatezza e univocità d’ogni rappresentazione e ogni giudizio. Una cosa si può dirla almeno in due modi: un modo per cui chi dice vuol dire quella cosa e solo quella; e un modo per cui si vuol dire si quella cosa, ma nello stesso tempo ricordare che il mondo è molto più complicato e vasto e contraddittorio. L’ironia ariostesca, il comico shakespeariano, il picaresco cervantino, lo humour sterniano, la fumisteria di Lewis Carrol, di Edward Lear, di Jarry, di Queneau valgono per me in quanto attraverso ad essi si raggiunge questa specie di distacco dal particolare, di senso della vastità del tutto.
E non è da dire che sia un risultato a cui giungono soltanto i grandi. E’ piuttosto un metodo, un tipo di rapporto col mondo, che può informare di sé manifestazioni svariate e quotidiane di una civiltà. Si pensi a quanto il sense of humour abbia contato nella civiltà inglese, non solo, ma quanto abbia contato nell’arricchire l’ironia letteraria di dimensioni fondamentali, sconosciute al mondo classico: e non mi riferisco tanto al fondo di melanconia simpatica verso il mondo, quanto alla prima virtù di ogni vero “umorista”: coinvolgere nella propria ironia anche se stesso.
Da quese predilezioni derivano le mie riserve sulla satira, concentrata com’essa è con passione esclusivo-ambivalente sul polo negativo del proprio universo, attenta a tener fuori dalla contestazione l’io dell’autore. Però apprezzo e amo lo spirito satirico quando viene fuori senza una particolare intenzione, in margine a una rappresentazione pù vasta e più disinteressata. E certamente ammiro la satira e mi faccio piccolo piccolo al suo cospetto quando la carica dell’accanimento derisorio è portata alle estreme conseguenze e supera la soglia del particolare per mettere in questione l’intero genere umano, come in Swift e in Gogol’, confinando con una concezione tragica del mondo.

Italo Calvino, da Una pietra sopra“, Mondadori (prec. ed. Einaudi)

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Scritture

Mi fa piacere segnalare i commenti che Antonio Pennacchi, l’autore de Il Fasciocomunista , da cui è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico, ha lasciato al mio post di qualche mese fa.

A breve, per completare il discorso, un post sul libro.

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Ebreo

Questo che segue è un articolo di Giorgio Manganelli, pubblicato originariamente sul Corriere della Sera nel 1982, ed ora incluso in Mammifero italiano, Adelphi 2007. Non avrei potuto trovare migliore nutrimento per una delle mie principali e più felici ossessioni, di cui forse qualcuno si sarà accorto ultimamente qui.  

Stella di DavideIn questi giorni è avvenuto qualcosa di singolare, di oscuro, potente e meraviglioso, di cui forse a fatica ci rendiamo conto; personalmente, me ne sono accorto dieci minuti fa, scorrendo i giornali su cui si discute di antisemitismo, di Begin e dei palestinesi. Si dice dovunque, ed è patente verità, che in italia non esiste antisemitismo; che nessuna forma di persecuzione è pensabile, o di ostracismo e diffidenza; e tutto ciò è giuridicamente inattaccabile.
Ma non credo che sia questo il problema che è esploso davanti ai nostri occhi con una intensità sconvolgente, a tal punto che gli stessi ebrei ne sono stati travolti.
Non è rilevante constatare che non esiste né è pensabile in Italia un antisemitismo organizzato e pubblico; non è rilevante giacchè la civiltà occidentale, tutta, ha sempre avuto dentro di sé questo problema, il rapporto con il mondo ebraico. E’ possibile che questo problema sia addirittura uno dei temi fondamentali per intendere tutta la storia di ciò che chiamiamo Occidente, dalla Russia all’America passando per Berlino, Parigi, Roma, e si noti, tutt’e tre le Rome, se non sono quattro.
Che significa questa ossessione millenaria? Perché cose di una mostruosità inaudita sono accadute e continuano ad accadere? Perché l’ebreo è «ebreo»? La mia convinzione è che a tutti noi, noi occidentali, viene posta una domanda di infinita oscurità e profondità, una domanda da cui dipende la salvezza della nostra anima, come dicono i cristiani, o comunque del nostro significato, che solo ci abilita ad esistere: e la domanda è questa: sei o non sei ebreo?
Non ho detto: sei con gli ebrei, ma sei ebreo; giacché essere ebreo è una condizione umana estrema, terribile e insondabile; una condizione di cui l’occidentale ha paura; e noi sappiamo che si ha paura di ciò che sta dentro di noi, non di ciò che ci è estraneo. Se l’Occidente ha combattuto gli ebrei, superando in questa lotta ogni abiezione di cui mai è stato capace, ciò viene solo dal fatto che l’Occidente ha paura della propria interiore domanda ebraica, qualla continua, eterna, mite, irriducibile domanda che lo insegue, che lo costringe a far ciò che non vuol fare, capire se stesso, oltre quei limiti che la sua cultura, la sua ansia di protezione, la sua paura di esistere gli impongono. Ma qual’è questa domanda ebraica? Read more »

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Come visitare lo studio d’un pittore

Achille Campanile, da In campagna è un’altra cosa (1931)

Disegno di Saul SteinbergLa visita allo studio d’un pittore è una cosa difficile.
Si comincia, di solito, a lodare sventatamente i primi quadri con superlativi; dopo qualche passo, l’incauto che s’è slanciato a cuor leggero su questa via, deve ripetersi o tentar qualche variante che, a chi udisse senza vedere, farebbe credere trattarsi d’un pranzo. E poiché la buona educazione, e anche il pittore, vogliono un crescendo ammirativo nei giudizi, a un certo punto il visitatore non sa come andare avanti. Se il primo quadro è bellissimo, il secondo splendido, il terzo maraviglioso e il quarto magnifico, come sarà il quinto? Mettiamo che sia sorprendente; al sesto vi voglio vedere. Per via del crescendo, esso non potrà che rientrare nell’ordine del soprannaturale. E dal settimo in poi?
Ecco. L’errore in cui cadono quelli che visitan lo studio d’un pittore, è di cominciar dai superlativi. Bisogna, invece, amministrare con previdenza il patrimonio degli aggettivi, magari cominciandocon una certa freddezza. Ma se lo studio è molto fornito neppur questo è sufficiente; si comincerebbe con: “passabile, non c’è male, grazioso, bello”, e subito si ricadrebbe nel vicolo cieco dei “bellissimo”, eccetera. 
Dunque? Read more »

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Discorso dell’orso

Julio Cortàzar, da Storie di Cronopios e di Famas, 1962

orsoSono l’orso dei tubi della casa, mi arrampico per i tubi nelle ore del silenzio, i tubi dell’acqua calda, del riscaldamento, dell’aria condizionata, vado lungo i tubi da un appartamento all’altro e sono l’orso che va per i tubi.
Credo di essere stimato perché il mio pelo mantiene pulite le condutture, incessantemente corro nei tubi e non c’è niente che mi diverta di più che passare da un piano all’altro lungo i tubi. Qualche volta tiro fuori una zampa dal rubinetto e la ragazza del terzo piano strilla che si è bruciata oppure grugnisco dal fornello del secondo e Guglielmina, la cuoca, si lamenta che oggi la canna tira male. Di notte sto zitto ed è quando più leggero mi muovo, mi affaccio al tettuccio del camino per vedere se lassù balla la luna, e mi infiltro come il vento fino alla caldaia in cantina. E d’estate nuoto di notte nella cisterna punteggiata di stelle, mi lavo la faccia prima con una mano poi con l’altra e poi con tutte e due, e tutto ciò mi procura una grandissima allegria.
Allora mi lascio andar giù per tutti i tubi della casa, grugnisco allegro e i mariti e le mogli si agitano nel letto e protestano che l’impianto è mal costruito. Alcuni accendono la luce e scrivono su un pezzetto di carta, per ricordarsi di far le loro rimostranze al portinaio, non appena si farà vedere. Io cerco il rubinetto che resta sempre aperto in qualche alloggio, di li tiro fuori il naso e guardo il buio delle stanze dove vivono quelle creature che non possono andare per i tubi e che mi fanno anche un po’ pena quando li guardo, grandi e grossi come sono, e quando li sento russare e sognare ad alta voce, e sono tanto soli. Allora, quando al mattino si lavano la faccia, li accarezzo su una guancia, li lecco sul naso e me ne vado, vagamente convinto di aver fatto bene.

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Andateci…

Prendetevi cura delle bambineMercoledì 27 settembre alle 18,30 presso la FNAC di Napoli, ci sarà la presentazione del libro di Rossella Milone  Prendetevi cura delle bambine (Avagliano), opera prima segnalata al Premio Calvino 2005. Intervengono Generoso Picone (Il Mattino) e Antonella Cilento. Reading a cura di Uzeda.

Questa la notizia. Poichè è inutile negare che il titolare di questo blog è pregiudizialmente tendenzioso in favore del libro e dell’autrice, aggiunge: andateci, se potete. E comprate il libro. Ne varrà la pena. Se ne parlerà diffusamente in questa sede, e se non ci saranno problemi di copyright, ve ne farò leggere dei brani. Nel frattempo potete cominciare a capire di che si tratta qui.

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