Questo che segue è un articolo di Giorgio Manganelli, pubblicato originariamente sul Corriere della Sera nel 1982, ed ora incluso in Mammifero italiano, Adelphi 2007. Non avrei potuto trovare migliore nutrimento per una delle mie principali e più felici ossessioni, di cui forse qualcuno si sarà accorto ultimamente qui.
In questi giorni è avvenuto qualcosa di singolare, di oscuro, potente e meraviglioso, di cui forse a fatica ci rendiamo conto; personalmente, me ne sono accorto dieci minuti fa, scorrendo i giornali su cui si discute di antisemitismo, di Begin e dei palestinesi. Si dice dovunque, ed è patente verità, che in italia non esiste antisemitismo; che nessuna forma di persecuzione è pensabile, o di ostracismo e diffidenza; e tutto ciò è giuridicamente inattaccabile.
Ma non credo che sia questo il problema che è esploso davanti ai nostri occhi con una intensità sconvolgente, a tal punto che gli stessi ebrei ne sono stati travolti.
Non è rilevante constatare che non esiste né è pensabile in Italia un antisemitismo organizzato e pubblico; non è rilevante giacchè la civiltà occidentale, tutta, ha sempre avuto dentro di sé questo problema, il rapporto con il mondo ebraico. E’ possibile che questo problema sia addirittura uno dei temi fondamentali per intendere tutta la storia di ciò che chiamiamo Occidente, dalla Russia all’America passando per Berlino, Parigi, Roma, e si noti, tutt’e tre le Rome, se non sono quattro.
Che significa questa ossessione millenaria? Perché cose di una mostruosità inaudita sono accadute e continuano ad accadere? Perché l’ebreo è «ebreo»? La mia convinzione è che a tutti noi, noi occidentali, viene posta una domanda di infinita oscurità e profondità, una domanda da cui dipende la salvezza della nostra anima, come dicono i cristiani, o comunque del nostro significato, che solo ci abilita ad esistere: e la domanda è questa: sei o non sei ebreo?
Non ho detto: sei con gli ebrei, ma sei ebreo; giacché essere ebreo è una condizione umana estrema, terribile e insondabile; una condizione di cui l’occidentale ha paura; e noi sappiamo che si ha paura di ciò che sta dentro di noi, non di ciò che ci è estraneo. Se l’Occidente ha combattuto gli ebrei, superando in questa lotta ogni abiezione di cui mai è stato capace, ciò viene solo dal fatto che l’Occidente ha paura della propria interiore domanda ebraica, qualla continua, eterna, mite, irriducibile domanda che lo insegue, che lo costringe a far ciò che non vuol fare, capire se stesso, oltre quei limiti che la sua cultura, la sua ansia di protezione, la sua paura di esistere gli impongono. Ma qual’è questa domanda ebraica?
Cercherò di dire, in modo molto elementare, quel che mi sembra almeno uno dei punti essenziali: la rinuncia alla protezione; e per protezione intendo tutto ciò che tiene lontano dalla nostra esistenza le immagini non misurabili: i sogni, le caverne oscure cui la nostra anima accede e dove dimorano gli dèi, la solitudine non terrestre ma universale, la violenza dei simboli che ci aggrediscono e ci sorprendono, la notturna altezza del mistero, il non sapere che cosa significa questa serie di eventi disordinati che chiamiamo «vita», e che non ha quiete e senso se non appunto nell’incontro con il terribile, con l’altrove; forse quest’ultima parola tocca da vicino il tema di cui è impossibile parlare se non con tremore e angoscia; l’occidentale ha il terrore dell’altrove, odia l’altrove e tuttavia sa nelle sue viscere geroglifiche che solo l’altrove custodisce il suo significato.
Ora, l’ebreo è sempre stato l’uomo dell’altrove, e in questo senso è stato lo scandalo, giacché egli era ciò appunto che all’occidentale si chiede di essere, e che l’occidentale rifiuta di essere. L’antisemitismo non è un fenomeno di malvagità politica, troppo lunga è la sua storia per non sospettare che nasconda qualcosa di terribile, una sorta di follia che sempre colpisce chi froda se stesso e mente sul proprio destino. E l’Occidente è vissuto di frode. Ora la presenza ebraica continuamente e con molta dolcezza – ciò che fa impazzire -, tocca e svela la frode.
Vorrei fosse chiaro che non di una dottrina, di una fede ebraica sto cercando di parlare, ma di una condizione, una collocazione nel mondo, e soprattutto, come dire?, una angolatura dell’anima; come se gli ebrei guardassero da un’altra parte, verso cose che non osiamo guardare. Poco importa che l’ebreo sia laicizzato, ateo, e si pensi occidentale; Freud era tutto ciò, e pure per primo intese i sogni, e ritrovò i simboli, e visse tra i segni della Cabbala. Per dirlo in modo semplice, nascita, anima e morte, checché esse siano, non si laicizzano. Ed è su queste immagini che siamo chiamati a rispondere; ed esse sono soltanto le immagini periferiche dell’altrove.
Dunque: la domanda millenaria – non di questi giorni truci ed effimeri – cui siamo chiamati a rispondere è se accettiamo di essere ebrei; giacché mi pare di capire che non c’è alternativa: noi possiamo solo reprimere o accettare questa nostra condizione interiore, questo luogo insieme dei significati e del terrore. L’ebreo è esule: e noi crediamo di non esserlo? L’ebreo deve, è costretto, e insieme gli è naturale, misurarsi con le tenebre, giacché da millenni è l’oggetto privilegiato dell’ombra, il buio interiore dell’Occidente che lo investe.
Dunque anche per noi il problema è questo: quale rapporto scegliamo con le nostre tenebre, con l’ombra? Per uno dei paradossi inquietanti e insondabili della condizione ebraica, il problema è apparentemente collettivo ma in realtà individuale; la domanda viene posta ad ognuno di noi, ed anche se l’assordiamo con i ringhi e i guaiti della nostra paura, questa domanda non cesserà di seguirci, quieta ed eterna come il vento in cui Elia riconobbe la presenza del Dio che non si può guardare. La domanda ritorna: sei ebreo? Se risponderemo di no, la nostra sorte sarà il terrore di noi stessi, la follia.
Caro Cronopio,
ti ho letto per il post Antonioni, ma la parola in alto a sinistra ( coincidenze…) ha attirato la mia Attenzione. Così ho letto Manganelli ( le cui Centurie sono fra i miei libri pilastro). Che straordinario, preciso, profondo e profetico articolo è stato quello!
Anche io, che ebreo (spinoziano) sono, vivo questo momento storico come uno snodo della storia dell’umanità in quanto o meno “ebraica”.
Se vuoi ci torniamo sopra. Intanto, se ti interessa, nel mio blog, al post dedicato a “fai di te la notte, di Giorgio Scianna”, trovi tracce. Come alla voce “ebraismi” della tag cloud.
Grazie per questo regalo.
Chi dice che i blog sono minoritari non ha più idee qualitative della realtà.
Un caro saluto
Caro Valerio,
grazie per quello che hai scritto. Sono felice, nel mio piccolo, di averti potuto far scoprire questo testo. Quando l’ho letto, è stata davvero un’illuminazione. Per me che ebreo in teoria non sono (o almeno ignoro di esserlo), l’ebraismo inteso come categoria dello spirito -perdonami la banalità dell’espressione- è una vera e propria ossessione identitaria. Ho visto il tuo bel blog, e mi riprometto di tornare a visitarlo. Nel frattempo, ti ho linkato.
A presto
PS: mi piacerebbe un tuo parere sul post “il napoletano errante”, che trovi un po’ più sotto.