Poichè si è verificata, ahimé, di nuovo la terribile onda di latitanza blogghistica, quasi da record, i sensi di colpa crescono. Piuttosto che recuperare con diligenza tutto l’arretrato cinematografico e/o di idee e spunti per una quantità di post potenziali (ne ho una to-do list ricolma), provo a lenire gli scrupoli così, con un’operazione diaristica iperpersonale, scritta clandestinamente dal posto di lavoro (uno scrupolo se ne va e ne subentra un altro), e scusatemi per l’ombelico. Poi ritorno a fare o a cercare di fare il blogger serio e rigoroso.
Succede che stamattina, arrivato in ufficio fradicio per la pioggia presa in motorino, mentre passavo i calzini bagnati sotto il getto caldo dell’asciugatore in bagno -operazione penosa e clandestina ma indispensabile-, riflettevo su alcune piccole e quasi dimenticate esperienze della mia vita passata, che solo nel pronunciarle assumono sapore letterario, e danno un tono da persona vissuta. Tipo questa:
Ho vissuto, anni fa, per qualche mese a Roma, in una casa in cui una stanza era occupata da un camionista toscano. Con il quale sorsero alcune discussioni, provocate dalle rimostranze del padrone di casa -che nove mesi all’anno viveva in Inghilterra, dove faceva il cantante e si faceva chiamare Dali, e gli altri tre a Roma, dove invece fotografava le scolaresche a fine anno e si faceva chiamare Pietro- circa l’identità dell’anonimo autore di pisciate senza alzamento della tavoletta, atto che lasciava inequivocabili tracce sulla scena del crimine. Successivamente la coinquilina diventò una ragazza brasiliana, bionda, non particolarmente bella e piuttosto scorbutica, con la quale le discussioni insorte furono varie -era una vera simpaticona-, ma soprattutto quella sulla molestia acustica che le procurava, in mia assenza ed in sua presenza, la segreteria telefonica che avevo installato, e che quando qualcuno lasciava un messaggio emetteva un bip ad intervalli regolari. Effettivamente era piuttosto fastidiosa -la segreteria, ma a pensarci bene anche la ragazza-.
Lei -la ragazza, non la segreteria- si chiamava Branca, come il fernet. Forse perchè le stavo sullo stomaco.
E’ che, a una certa età, si sente l’esigenza di tesaurizzare la propria esperienza, nel terrore di non avere nulla da raccontare, soprattutto se si scrive. Quindi è opportuno non lasciare sfuggire le occasioni che si hanno -l’asciugatura del calzino può ispirare molto- per potersi sentire come il Moustache di Irma la dolce , che ogni tanto raccontava le sue più straordinarie ed eterogenee esperienze passate, concludendo sempre con “…ma questa è un’altra storia!…”
Questo si chiama fare un blog autoreferenziale!