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Diario Carpigiano (2)

L'umile titolare sul palco del Premio LoriaSeconda ed ultima parte delle cronache di questo weekend speso felicemente tra pagine e tortelli, scrittori e palazzi antichi, amici vecchi e nuovi.
Anche la giornata di domenica si presentava piena di appuntamenti appetitosi sotto ogni punto di vista, e si è conclusa (per me) con la premiazione ed una piacevolissima cena con alcuni tra i finalisti. Volete sapere subito com’è andata – la premiazione, intendo-? Ve lo dico: il vostro umile titolare non ha vinto. Ma non se ne rammarica se non in misura infinitesimale. Qualsiasi cosa si fosse aggiunta al semplice fatto di essere arrivato in finale al Premio Loria sarebbe stato tutto grasso che colava (espressione particolarmente calzante, data la forsennata dieta iperproteica cui mi sono sottoposto di buon grado in questi luoghi). Ho visitato una città incantevole, ho pranzato, chiacchierato, riso, discusso con persone incontrate qui per la prima volta o già conosciute, scrittori affermati e “colleghi” apprendisti. Mi sono divertito un mondo. La cosa bella è stata, oltre alla qualità degli eventi ed all’impeccabile efficientissima organizzazione, l’atmosfera che si respirava in ognuna delle “poltrone” dislocate per la città: un’atmosfera allegra, gioiosa, tutt’altro che paludata o pensosamente penitenziale (rischio che si può correre in certi contesti in cui le parole “arte”, “letteratura”, “cultura” invece che rappresentare momenti di potenziale felicità e crescita per ciascuno, sono inflitte come fardelli da trasportare con sofferenza compiaciuta). Qui si è parlato di libri, di scrittura, di storie reali ed inventate, ed anche di drammi o luoghi oscuri con la leggerezza priva di superficialità che è, a mio avviso, la tonalità cui si dovrebbe aspirare in quasi tutti i contesti, ed in particolare in quelli in cui si fa lavoro culturale.
Non mi dilungo ulteriormente sulle cose che ho visto, su quelle che non sono riuscito a vedere, e sulla lista infinita di libri che mi è venuta la voglia di leggere a Carpi, spesso dopo averne conosciuto gli autori. Finirò sul lastrico, se me li compro tutti. Comunque, a poco a poco, ve ne (ri)parlerò qui.

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Diario Carpigiano (1)

CarpiCome qualcuno tra gli affezionati sa, mi trovo da ieri a Carpi in missione tutt’altro che segreta, per seguire da diretto interessato la Festa del Racconto/Premio Loria.
Arrivo nella serata di ieri, dopo una tribolata giornata tra scioperi, ingorghi, treni presi in corsa (io) e treni persi e ripresi da Lucia, che superate crisi di sconforto e complicate trafile tra biglietterie e capistazione, riesce a raggiungermi sana e salva e in tempo utile.  Forse anche per il contrasto con le faticose traiettorie fisiche e morali della giornata, l’impressione iniziale è splendida.

Carpi sembra subito bellissima. Da vedere e da camminarci, forse da viverci. Il prototipo della perfetta cittadina centrosettentrionale dalla storia antica, ben organizzata, piena d’iniziative culturali, con tutti i vantaggi della piccola città “tranquilla” ma dalla vivacità metropolitana quanto ad antenne puntate verso il resto d’Italia e del mondo.
Mi domando talvolta se la fascinazione che colpisce noi terroni istruiti quando ci troviamo in posti come questo, più che mai noi che veniamo dalla innominabile città delle rivolte popolari contro la polizia che arresta lo scippatore, se questa fascinazione, dicevo, non sia frutto di un posticcio mito socioculturale. Che magari a viverci davvero, dopo una settimana, in febbraio, che so, tra nebbia, grappini e coprifuoco serale, fuggiremmo via ululando e rovesciando malignamente i lindi cassonetti differenziati come zombie nella notte. Chi può dirlo. E’ solo un dubbio. Ma nel frattempo questi tre giorni d’inizio autunno, nonostante il tempo piovoso, me li sto gustando davvero, in tutti sensi. A cominciare dalla “cena letteraria” di ieri, tutta a base di zucca, dove ho avuto il primo contatto con l’ambiente, e ritrovato subito facce conosciute (noi scrittori napoletani Cilenteschi, di tutte le dimensioni letterarie, siamo una specie che si propaga per ogni dove, per fortuna nostra….).
CarpiLa giornata di oggi è cominciata con l’unico evento che coinvolgeva direttamente i finalisti del premio, sezione inediti (oltre naturalmente alla premiazione di domani): l’incontro con gli studenti delle superiori, che si sono sciroppati i nostri racconti e si sono presi pure la briga di commentarli, alla stregua di un compito. E’ stata un’esperienza carina, eccezion fatta per il freddo polare che ha colto me -vestito in giacchetta e camicia- e quanti come me pensavano che il clima si mantenesse temperato. Perdipiù avevo una impellentissima necessità di ricambio idrico che ho tenuto a bada stoicamente per un’ora. Tra gli ameni alberi di un giardino del castello, ho passato per amor dell’arte alcuni tra i momenti di più acuta sofferenza davanti ad un pubblico dopo quelli della recita scolastica all’asilo. Ma poi è passata.

Per il resto, ho conosciuto i “concorrenti”, abbiamo familiarizzato, e sono curiosissimo di leggere i loro racconti. Tutta la giornata è stata un fuoco di fila di incontri con scrittori, letture e degustazioni una dopo l’altra. Ho rivisto Antonio Pascale e sempre di più mi sono confermato nella convinzione che, sotto la superfice della sua irresistibile teatralità da grande intrattenitore e la sua continua diminutio (apparente contraddizione) di sè stesso e di tutte le retoriche culturali, ci sia un vero, grande intellettuale dei nostri tempi, una specie in via di estinzione. Uno che pensa davvero e fa pensare, che ti mostra con lucidità visioni delle cose eterodosse, percorsi raramente battuti. E un bravissimo scrittore (splendida la sua lettura dal libro “turistico” sul Molise: la maturità come conquista del torpore sonnolento in amore e nel viaggio). Con lui Antonella del Giudice, collega cilentesca ed amica, e brava. Entrambi ex vincintori del premio, come Roberto Alajmo e Nicolò La Rocca, anche loro a parlare e leggere in pubblico. Poi Carabba e Conti a parlare dei racconti umoristici di Fellini, letture di Vonnegut, Bevilacqua

C’è fin troppa carne a cuocere, è difficile reggere il ritmo. E la cosa più terribile è che, per quasi tutti gli autori che non ho letto, e che qui ho visto, ascoltato, conosciuto, sorge l’immediata voglia di colmare la lacuna, con grave rischio economico e dispendio di risorse destinate a più necessarie attività lavorative. Mi fermo qui, per ora. Tra poco Iaia Forte legge Arturo Loria, intestatario del premio, e s’e fatta quasi ora. A domani.

 

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Peppone vs. Armstrong

Giovanni GuareschiHo ricevuto una torrenziale email dagli organizzatori del Meeting delle Etichette Indipendenti (MEI), che riporta il programma dettagliato di questa manifestazione che ero uso frequentare un’era geologica fa, quando si svolgeva a Firenze ed io ci andavo a suonare con i Panoramics. Il programma è interessante e ricco di eventi. Ma non è di questo che intendo parlare qui.
Nel programma, c’è un passaggio che mi ha colpito, e sul quale credo valga la pena di fare qualche riflessione. E’ il seguente:

“L’apertura del MEI 2006 sarà dedicata ai 100 anni della nascita di Secondo Casadei, lo Strauss di Romagna, che sarà ricordato ed attualizzato attraverso un grande convegno per ricordare la sua  figura antelitteram di no-global della musica e di “uomo che sconfisse il boogie-woogie” , cioè la prima avanzata dei suoni globali degli States con la rinascita della musica tradizionale romagnola.”

Ora, partiamo un po’ dal principio. Non conosco Secondo Casadei nè la sua storia (immagino che sia il capostipite della stirpe di Raul). Ma già mi fa pensare l’espressione “lo Strauss di Romagna”. Strauss. Un Crucco. Questo Casadei mi puzza di austriacante, anche se poi fa tanto il patriota…. E poi, che cosa è questa musica tradizionale? Polka, Mazurka, Valzer, Tango…. Uhm… Polonia, Ungheria, Austria, Argentina….. Questi sono suoni antitaliani!!! Qui si rischia di imbastardire la purezza delle nostre tradizioni!!! Fossi stato, all’epoca, un prefetto, lo avrei messo sotto controllo, questo tipo. Ma lasciamo perdere. Andiamo avanti. Pare che comunque abbia sconfitto il boogie-woogie, l’invasione barbara dei ritmi negroidi provenienti dalla grande demoplutocrazia giudaica. Bravo! E siccome fare qualcosa contro il Satana americano è qualcosa che rende migliori, lo proclamiamo combattente antelitteram delle battaglie No-Global. Ecco.
Secondo CasadeiMa a questo punto mi si confondono un po’ le idee. Il Camerata Casadei era in realtà un Compagno? L’origine romagnola, storicamente, ammette la compresenza di entrambe le possibilità. Le confusioni ideologiche dei giovani d’oggi, anche se loro non se ne rendono conto, purtroppo, pure.
Facciamo i seri, adesso.
Uno dei concetti, innegabili e banalissimi, ripetuti fino alla noia dalla critica musicale “progressista” -o semplicemente intelligente-, nell’affrontare l’evoluzione della musica leggera in Italia, è stato il fatto che gli innovatori (cioè quelli “buoni”, gli intelligenti, i talentuosi) sono sempre stati quelli che hanno recepito e fatta propria, quand’anche in maniera personale, l’influenza delle nuove musiche “di fuori”, come il Jazz, il Blues, il Rock, la canzone francese, il pop britannico, affrancandosi dalle stantie formule tradizionali. Questo hanno fatto tra tanti altri De Angelis, Otto, Kramer e Barzizza prima della guerra, e dopo Buscaglione, Carosone, Modugno, i cantautori genovesi, fino a Battisti e chiunque altro dopo di lui.
Noi, quelli buoni, quelli de sinistra, abbiamo sempre detto che è fondamentale aprirsi, contaminarsi, mescolare le culture. E mi pare un concetto valido, ieri come oggi, così come d’altro quello di valorizzare le proprie radici e le tradizioni culturali dei propri luoghi d’origine.
Oggi però alcuni sentono il bisogno, per sentirsi più buoni e più trendy, di emendarsi dal sospetto di essere vagamente indulgenti con gli Stati Uniti e con questo terribile mostro: la globalizzazione (anatema! anatema!…), e quindi arrivano a predicare e praticare clamorose cazzate come quella di farsi alfieri dell’autarchia musicale (concetto, in tutta franchezza, fascistoide). Credo che nessuno, a partire dal cento per cento dei musicisti presenti al sopracitato meeting sogni che l’Europa fosse rimasta incontaminata dai “suoni globali degli states”. Immaginatevelo: una musica fatta solo di tarantelle mazurche e melodramma, se ci andava bene di ‘O sole mio e Mamma. Un incubo parallelo a quello immaginato da Dick ne La svastica sul sole. Però, pensandoci bene…. se non altro, se vincevano i Tedeschi, gli americani non rompevano le palle…. Forse anche Hitler, sotto sotto, era un no global. E certamente amava i valzerini e le mazurche.

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Festa Del Racconto

Logo Festa del RaccontoSempre in relazione al Premio Loria di cui sotto, quest’anno è stato inserito in una manifestazione più ampia, la Festa del Racconto, appunto, durante la quale ci saranno parecchi eventi in vari luoghi storici della città di Carpi ed alla quale parteciperanno un bel po’ di scrittori e affini (tra gli altri Roberto Alajmo, Alberto Bevilacqua, Davide Bregola, Claudio Carabba, Emilia Bersabea Cirillo, Antonella Del Giudice, Iaia Forte, Sarah Kaminski, William Lee, Lorenzo Licalzi, Simone Maretti, Antonio Pascale, Brunetto Salvarani, Marco Vichi).

Qui il programma dettagliato.

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Son soddisfazioni…

Il vostro umilissimo titolare ieri ha ricevuto una telefonata in cui gli si comunicava che con un suo racconto, è uno dei finalisti del Premio Arturo Loria. La finale si svolgerà a Carpi il 7 ed 8 ottobre. Incrociate le dita. Grazie.

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