19 luglio 2010 by Marco
Ricopio qui, per la pazienza di coloro che vorranno leggerselo tutto (è piuttosto lungo) l’articolo di Ennio Flaiano che ho letto durante la manifestazione di cui parlavo qui. Ci vuole un po’ di pazienza, ma ne vale la pena.
Signor Direttore, collaborando al Suo giornale con queste note di diario mi sono fatto una piccola e riprovevole fama di uomo forse intelligente ma arido. La verità è il contrario: sono certamente un cretino, ma umido. Debbo infatti ammettere che credo ancora nelle idee che mi sono state inculcate da ragazzo, sui banchi della scuola, e non saprei non dico tradirle, ma nemmeno immaginare altre che le sostituissero: segno quindi che sono inadatto ai tempi, i quali richiedono versatilità e immaginazione. Io credo, per esempio, nella Libertà e di questo vorrei parlarle. Uno dei momenti più felici della mia disordinata giovinezza fu quando lessi questa semplice frase, che mi spiegava tutto il mio amore: “La Storia è storia della lotta per la libertà”. Quest’amore per la parola Libertà non sopportava aggettivi né associazioni: io non volevo una libertà sorvegliata, difesa, personale, intellettuale; né gradivo che le si accoppiassero concetti, altrettanto nobili, come Giustizia e Democrazia, parendomi che la libertà li contenesse tutti, anzi li proteggesse. Quest’amore per la libertà è l’unico errore giovanile che io non rifiuto e che condiziona tutti i miei errori di oggi. Ma poiché questi errori mi aiutano a vivere, mi rendono anzi la vita sopportabile, io li difendo. Ora che le ho fatto il quadro abbastanza desolato povero della mia filosofia, siamo maturi per giudicarla. Purtroppo, dovremo prendere le cose un po’ alla larga Read more »
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25 giugno 2010 by Marco
Prologo.
Anni fa, certamente prima dell’11 settembre 2001, quando i talebani imperversavano in Afghanistan, e si moltiplicavano gli appelli umanitari, di solidarietà soprattutto alle donne umiliate, torturate, uccise, proprio in quel periodo collaboravo con un istituto “culturale”, qui a Napoli. Ogni lunedi ci si riuniva per definire i programmi, gli eventi da organizzare eccetera. Uno di questi lunedi, una ragazza, laureata in sociologia, mi racconta il contenuto della conferenza che avrebbe dovuto tenere lì, dopo un paio di giorni. In sintesi, affermava che, al di là delle superficiali apparenze, la condizione delle donne afghane era pressoché identica a quella delle donne occidentali. Entrambe vittime, sebbene in forma differente, del potere maschile, dell’oppressione sociale.
Naturalmente trasecolai, e le chiesi se non si fosse spinta un po’ troppo in là con il paradosso, con la provocazione. Mi rispose sorridendo, con l’aria compiaciuta di chi l’ha fatta grossa ma è sicura di passarla liscia, che no, non c’era nessun paradosso, nessuna provocazione. Lei davvero pensava quello. Mi guardai intorno aspettandomi stupori analoghi al mio. Invece, in quel gruppo di benestanti signore di buona famiglia e di migliori principii progressisti, di giovani e meno giovani volontari pieni di ardore, cultura e idealità, si mormoravano cose tipo “vabbè, magari è un po’ esagerato, ma in fondo… la società dei consumi, ‘sti americani… pure qua stiamo inguaiati, che mondo, che schifo… va sempre peggio…”

Fine del prologo.
Qualche giorno fa ho partecipato, come esponente della comunità degli scriventi, ad una manifestazione organizzata da alcune case editrici contro il ddl Alfano sulle intercettazioni, dedicata alla Libertà d’espressione. Si trattava di Read more »
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13 ottobre 2007 by Marco
Giorni di Nobel, questi. Sono una quarantina d’anni che dico Nòbel, con l’accento sulla o. E da quasi altrettanti ho un automatico moto di sdegnato sopracciglio ogni volta che sento qualcuno dire Premio Nobèl. Mi ha sempre fatto l’effetto di certe antiche zie che volevano fare le sofisticate e pronunciavano i nomi di famosi attori hollywoodiani francesizzandoli (Anfrì Bogàrt, Robèr Misciùm, Caterìn Ebùrn e via dicendo). C’era una conoscente di Flaiano che parlava di Tolstoi chiamandolo Tolstuà.
Eppure la mia tracotanza linguistica ha oggi subito uno smacco. Dopo aver sentito l’ennesimo giornalista -del tg2, figurarsi…- che diceva “è stato assegnato il Nobèl per la pace ad Al Gore”, mi sono deciso a fare un ricerchetta su Google, non avendo un dizionario a portata di mano. Ahimè, pare che abbia passato una vita ad i
narcare inutilmente il sopracciglio. Pare che si dica proprio Premio Nobèl. Per consolarmi, e per fare penitenza (l’ho trascritto a mano, non avendo lo scanner) ho ripescato un pezzo del 1965 di Achille Campanile sull’argomento accenti e televisione. Trovo che sia, scusate l’iperbole, assolutamente meraviglioso. Ed assolutamente esilarante (ogni volta che lo rileggo, rido da solo). E’ lunghetto, e non ho avuto cuore di tagliarlo. Ma vedrete che vale la pena di leggerlo.
LE OPERE E I FIERI ACCENTI
Una delle prime gigantesche opere della TV è quella della bonifica integrale del linguaggio, di cui il benemerito sodalizio si accolla volontariamente l’immane pondo fin dal suo primo apparire.
Nel riquadro di tale meritorio compito, di cui darò piena contezza nelle mie pagine olezzanti di lucerna, come quelle di Demostene, rientra lo
SPOSTAMENTO DEGLI ACCENTI
operato su larga scala. Vecchi accenti che da anni e talora da secoli riposavano indisturbati sulle posizioni occupate, in un neghittoso sonno e in un’immobilità da cui si sarebbe detto che niuno mai sarebbesi azzardato a toglierli, vengono audacemente rimossi e spostati a viva forza su altre sillabe. Chi viene fatto avanzare, chi indietreggiare. Chi si ferma è perduto.
L’ESERCITO ATTACCANTE
Per tale opera la TV si serve precipuamente d’una truppa d’assalto, composta di guastatori scelti, detti leggitori, Read more »
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5 aprile 2007 by Marco
Rileggendo quel che ho scritto nel post precedente, ho l’esigenza di chiarire meglio quel che volevo dire. Scusate l’insistenza.
Non m’interessa l’invettiva antiberlusconiana in genere, purchessia. Penso che sia un esercizio abusato, facile e inutile. Anzi, spesso più vantaggioso per Berlusconi che per i suoi detrattori.
Quel che mi lascia interdetto, più che lui, quel che ha fatto, quel che ha detto, è tutto l’insieme. E’ il fatto che si consideri normale, in Italia, sulla stampa, e nei commenti politici, che uno -uno importante, non un pirla qualsiasi- che si vanta di essere l’unico vero liberale tra i politici, che parla ossessivamente di libertà ed, all’opposto, di comunismo come sistema oppressivo, totalitario, antiliberale ed antidemocratico, uno così vada a ribadire tutto questo in un convegno di neofascisti se non neonazisti, di cui si dice amico ed alleato. Su un palco dal quale giganteggia una sinistra fiamma e la parola MUSSOLINI a caratteri cubitali.
Proviamo per un attimo a fare un banale esercizio di fantasia.
Immaginiamo che, ad esempio, in Francia esista una signora, che so, nipote del Maresciallo Pétain. Jaqueline Pétain, per dire. Che guida il Front National. Anzi, che ha personalizzato il FN, trasformandolo elettoralmente in ”lista Pétain”. Immaginiamo Chirac che ci si vuol alleare. Che va da lei a tuonare contro la dittatura comunista, su un palco con la scritta Pétain da sotto.
Oppure che Greta Goebbels ospiti l’amico Kohl o l’alleata Merkel sotto uno striscione bruno col suo nome. Che Aznar vada al congresso dei neofalangisti guidati da Dolores, Inés, e Nuria Franco, tre ex attrici discendenti del Caudillo che, dopo essere state scartate da Almodóvar per un suo film, si sono buttate in politica.
Riuscite ad immaginarlo? Difficile, lo so. Ma se ci riuscite, immaginerete anche una enorme baraonda. Il mondo politico, giornalistico, culturale, l’opinione pubblica europea in subbuglio. Non sarebbe una cosa normale. In Italia lo è. Per l’Italia lo è. A quanto pare si sono abituati a considerarci una bizzarra anomalia anche all’estero. Simpatici, superficiali, sbruffoni italiani. Tanto tutto s’aggiusta, volemose bene. Dopotutto Alessandra è nipote pure della Loren. E Silvio è un simpaticone naif, piace proprio per quello. Non vale la pena di prendere nulla sul serio da queste parti. Anche se non mancano qui le intemerate moraliste dei rigorosi custodi dell’etica di stampo calvinista, principalmente su bandane e stallieri, meno sulla politica (e su colonne di giornali ricolmi di gossip e cronaca nera e tette) queste sono, appunto, moralistiche, ipocrite, tutt’altro che serie. Da queste parti esiste solo la commedia. Il dramma o la tragedia, o semplicemente il racconto senza oleografia, senza “colore”, non ha cittadinanza.
Eppure Mussolini -Benito-, era Italiano. Sarà stato un personaggio ridicolo, ma lui e gli eventi che ha generato sono stati di una tragica serietà. Una dittatura ventennale, una guerra, l’alleanza e la complicità morale col peggio del ventesimo secolo. Una guerra civile, milioni di morti. Una repubblica nata, almeno sulla carta, in opposizione consapevole e memore a quella e quindi a tutte le dittature.
Tutte cose abbastanza serie che l’Italia è stata in grado di produrre. Eppure.
Lo so come questo post potrebbe andare a parare. Con l’inevitabile citazione di Flaiano. Ma ve la risparmio. Anche lui ha diritto ad essere lasciato in pace per qualche minuto nella tomba.
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15 febbraio 2006 by Marco
Aldo Buzzi, da “La lattuga di Boston“, Ponte alle Grazie 2000.
«Come sta?» dissi.
«Ho preparato una proposta da sottoporre al ministro della giustizia per punire una categoria di persone che mi dà fastidio in modo particolare».
«Per esempio?» dissi.
«Per esempio quelli che, dopo aver nominato New York, se devono nominarla un’altra volta, dicono la Grande Mela. Per questi la pena dovrebbe essere l’ergastolo».
«Accidenti!» dissi.
«Sì, ma non solo per questi. Anche per quelli che, dopo aver nominato il dollaro, se devono nominarlo una seconda volta, dicono il biglietto verde; o, se devono nominare l’oro una seconda volta, dicono il metallo giallo. E stessa pena per quelli che dopo il pallone, invece di ripetere il pallone dicono la sfera di cuoio» aggiunse. «E per quelli che prima dicono il papa – una paroletta breve che fa risparmiare tempo e fatica – e poi si buttano su Giovanni Paolo Secondo?»
«Ergastolo» dissi.
«Bravo. E per quelli che, dopo aver nominato Gelli, aggiungono sempre l’ex maestro venerabile della loggia P2?»
«L’ergastolo, come sopra» dissi.
«No, la fucilazione».
«Allora» dissi, Read more »
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