Tag: francis ford coppola

In sintesi

RatatouilleIl titolare è contrito, traboccante rimorsi, ha containers di cenere pronta ad essere aspersa sulla sua ormai purtroppo vastissima fronte. Ma è andata così.
Forse mai era stato così latitante. Ma ha avuto qualche scusante. Una delle quali per il momento è riservata. Ma verrà resa palese inorno al 15 dicembre (incrociate le dita se vi va).
Ora -dopo la logora retorica della terza persona, riprendo la prima- ho tutte le intenzioni di ridare un po’ di continuità a questo blog, che tra un paio di mesi peraltro festeggerà il secondo anno di vita. Non che non ci siano, o non ci siano stati in questo periodo pretesti, idee, riflessioni, fatti e cose più o meno interessanti di cui parlare. Ma le energie e il tempo non erano evidentemente abbastanza. Dunque qui si riprende, e si riprende con una serie di pillole cinematografiche, due o tre parole sui film che ho visto nell’ ultimo periodo, giusto per non avere la sensazione della colpevole omissione.
Due giorni a Parigi, esordio alla regia di Julie Delpy è un film non indispensabile, logorroico ed imperfetto, ma non spiacevole da vedere, con momenti di divertimento (benchè si abbia spesso la sensazione di un Woody Allen minore, francese e davvero segaiolo).
La giusta distanza di Mazzacurati è altrettanto non necessario per le vite di ciascuno, non particolarmente nuovo negli ambienti e nei temi, ma ci si spendono volentieri aggettivi consunti come carino e garbato, utili per coloro per i quali tali aggettivi  bastano per spendere i soldi di un biglietto. Per alcuni altri, o anche per gli stessi, potrebbe essere sufficiente la folgorante bellezza della protagonista.
Die Hard -ebbene sì-, visto in compiaciuta ed un po’ snob compagnia virile in pieno trend antiintellettuale -e quindi più che mai intellettuale, purtroppo- mantiene fin troppo ciò che promette. Si esce dalla sala sghignazzanti, commentando la quantità abbondantissima di cliché divertenti perché spudorati e quella ridottissima delle espressioni del protagonista e segretamente vogliosi di silenzi antonioniani, di camere fisse, dei monacali cineforum della nostra adolescenza.
Bruno Ganz - Un’altra giovinezzaIl film di Coppola, Un’altra giovinezza, meriterebbe una trattazione ben più estesa di queste quattro righe. Va visto da tutti coloro che amano Coppola ed il cinema in genere, e, massì, la letteratura, e Borges in particolare. Non perchè sia chissà quale capolavoro. Imperfetto, spesso implausibile, per qualcuno addirittura irritante, conserva però una magia ed una capacità di evocazione visiva che solo Coppola avrebbe potuto realizzare così (è probabile che chiunque altro, a partire dallo stesso materiale, avrebbe prodotto un’indigeribile schifezza). Mi è sembrato di scorgerci, oltre a Borges a camionate, anche citazioni, meno esplicite, di Kubrick. Coppola, Borges, Kubrick. Nella mia giovinezza, ma forse anche adesso, questi tre nomi rappresentavano una intoccabile trinità laica. Non potevo non vederlo, e, vistolo, non parlarne.
Che dire di Ratatouille? Se leggete i post precedenti relativi ai film d’animazione d’eccellenza, che amo alla follia, capirete già dove vado a parare. Splendido, intelligente, godibile, persino abbondante (in termini di lunghezza, cosa rara e faticosa, per chi lo realizza). Morale solo apparentemente banale: bisogna accettare ciò che si è. Ovvero, se sei topo, non puoi cambiarti in colombella. Ma se essendo topo sei igienista e buongustaio, e proustiano alchimista di sapori e sensazioni, devi accettare anche questo e lottare per la tua anomalia.
Across the universe, last (e se non è least, quasi), è il terzo, ma trionfatore sugli altri, della categoria degli innecessari. Innecessario fino a sfiorare l’inutilità. Quasi molesto per un Beatle fan come me. Se si glissa sulla storia scema e banale, sulla forzata ambientazione storico-sociologica-giovanilistica altrettanto convenzionale ed inoffensiva e ci si sofferma sulle canzoni -dignitosamente arrangiate ed interpretate- e su alcune idee visive non male, si può vedere. A patto, una volta ritornati a casa, di rivedersi immediatamente Yellow Submarine per ricordarsi cosa fosse davvero la creatività e la visionarietà innocente ed intelligente dei Beatles e del loro tempo. Roba rara al giorno d’oggi, signora mia.

PS: dopo aver pubblicato il post, mi sono reso conto di avere freudianamente rimosso (non a caso) un film visto recentemente: Tideland di Terry Gilliam. L’aggettivo delirante in questo caso si applica nella sua pienezza. E’ un vero delirio “d’autore”, una pippa pirotecnica, spesso sgradevole (mai però come Paura e disgusto a Las Vegas), talora con belle immagini. Ma si esce dal cinema scuotendo la testa all’unisono. Questo Gilliam qua, che era stato in qualche modo il maestro di Tim Burton, ora ne sembra il surrogato andato a male. Ma molto. Quasi tossico (parola pertinente al contenuto del film, peraltro).

Vedi anche:

Le vite degli altri

Le vite degli altri - Ulrich MüheSono andato a vedere finalmente questo film dopo un’ininterrotta serie di input (personali e pubblici) che lo segnalavano come uno dei migliori della stagione. Di solito, con queste premesse, temo la delusione. Ma non c’è stata. Questo è davvero un gran bel film, e se non l’avete ancora visto, andateci.
La prima sensazione che mi ha dato è stata quella di una discendenza diretta, ed in alcuni momenti quasi esplicita nella citazione, dal capolavoro degli anni ’70 di Francis Ford Coppola: La Conversazione. Per me, quello è stato uno dei momenti “formativi” della mia carriera di spettatore, e lo ricordo sempre con grande emozione. Questo film di Florian Henckel gli rende omaggio senza esserne una copia minore, e laddove Gene Hackman, in clima di Watergate e di intrighi spionistici intercettava pezzi di vite altrui per puro lucro, con professionalità capitalistica, divenendo vittima egli stesso del sistema di cui era un asettico utensile, qui il protagonista Ulrich Mühe forma la sua competenza nel sistema concentrazionario della DDR, e del suo orwelliano servizio d’informazione, la famigerata Stasi, “Spada e scudo del socialismo”, come viene detto dagli stessi occhiuti funzionari. Ed anche lui come l’altro personaggio, laconico e solitario, apparentemente privo di La Conversazione - Gene Hackmanpassione, inciamperà nel proprio percorso segnato (per entrambi l’intoppo nasce dall’”osservazione” di una coppia di amanti, e per entrambi la musica rappresenterà un momento simbolico di questo inciampo, di questa possibile alternativa esistenziale). Il tutto raccontato con asciuttezza e tensione, in due ore e mezza intense a dispetto del clima molto “europeo” e gaio quanto può esserlo Berlino Est prima della caduta del muro. Volendo essere molto ma molto puntigliosi, ogni tanto emerge qualche piccola ingenuità narrativa, qualche didascalismo di troppo, qualche eccesso di melò in una narrazione per altri versi molto sobria. Ma sono davvero peccati veniali.
Concludo con un paio di note personali. Più del solito, l’ossessione delle somiglianze ha colpito ancora. Il funzionario GW mi ha ricordato parecchio il mio amico Francesco Costa, lo scrittore de La volpe a tre zampe. Un altro attore sembrava Erri De Luca, un altro ancora il regista Capuano. Ma soprattutto, il coprotagonista, lo scrittore di regime spiato, è la (bella) copia di F. di cui al post precedente. Sarà perchè non lo vedevo da tempo, e l’avevo incontrato il giorno prima…. Ma trattandosi (sempre nel post precedente) di misteri tra l’esoterico e le coincidenze Junghiane, la cosa più sorprendente e sincronica che riguarda questo film, Berlino, la Musica e me, ve la racconterò in un post a parte.

Il conto:
Spesi: 5,00 euro
Valore effettivo: 7,50 euro
Bilancio: +2,00 euro

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