Tag: gay

Pentitevi!

Village PeopleNon ho letto i libri di Antonio Scurati. Ne ho lette qua e là opinioni e recensioni che non mi hanno particolarmente invogliato ad approfondire. Ma ho ascoltato e letto suoi interventi su giornali, in tv, sul web: quanto basta per farmi sviluppare un solido pregiudizio. Mi è sembrato un personaggio molto compreso nel ruolo che intende attribuirsi (e che molti sono disposti a conferirgli): quello dell’intellettuale pensoso e amareggiato, in costante interrogazione (più spesso in costante pontificazione, che se si limitasse ad interrogarsi, sarebbe molto meglio) sui mali che affliggono la nostra società, la nostra cultura, le nostre menti ottenebrate dallo sfacelo contemporaneo. Uno che ci svela continuamente di che lacrime grondi e di che sangue questo orribile occidente consumista eccetera eccetera. Un tromboncino moralista e narciso insomma, del tutto privo di ironia, dalla fronte corrugata, sempre intento ad agitare il ditino ammonitore dall’alto della sua consapevolezza di intellettuale gravato del male del mondo e della trista missione di portarne tutto il peso per rivelarcelo.

Se avevate dubbi sul mio pregiudizio, penso di averli fugati: ce l’ho senz’altro. Poi magari mi leggerò un suo romanzo e scoprirò il nuovo Dostoevskij, chi può dirlo. Ma non starei qui a parlarne se non mi fossi imbattuto ieri, su La Stampa, in un suo articolo, scritto in occasione del trentennale della scoperta del virus dell’AIDS. Questo il link (non ne ho trovato uno diretto sul sito del quotidiano). Titolo: ” AIDS, Ha 30 anni l’apocalisse dell’edonismo” (in prima pagina) e/o “Il macigno che distrusse l’illusione dell’edonismo” (nelle pagine interne). E già si può intuirne il contenuto. In sintesi: l’AIDS è stato il tragico disvelamento, la cifra simbolica e non solo dell’orribile realtà del consumo (in questo caso sessuale) e del profitto che la perversa società occidentale degli anni ’80 spacciava per vitalismo, liberazione dei costumi, ricerca della felicità. Ma è meglio far parlare direttamente Scurati, per capirci meglio.

Un decennio lungo trent’anni e durato fino a oggi. Anzi, fino a ieri. Trent’anni di fasulla e perfino lugubre joie de vivre sottilmente venati da un corrosivo presentimento luttuoso.

E vabbè, questione di gusti. Andiamo avanti.

nella società occidentale che si autorappresenta come ricca, sana, festosa, libera e gaudente, il party sfrenato continua fino alle prime luci dell’alba. Buttati dietro le spalle gli anni ’70 degli ultimi conflitti sociali manifesti e delle ultime dure lotte politiche, si predica ovunque euforicamente il nuovo verbo della società dei consumi, il cui hard core culturale e commerciale sta proprio, non a caso, nello scatenamento dei consumi sessuali. Ogni merce, anche la meno eccitante, viene sapientemente investita da un flusso di pulsioni libidinali ad opera di una legione di pubblicitari. La «liberazione sessuale», massima conquista dei movimenti di contestazione dei decenni precedenti, viene pervertita e irradiata sull’intero spettro delle merci. L’imperativo è uno solo: consumare, spandere, godere. Tre verbi che stanno chiaramente su di un continuum temporale e semantico con l’atto ed il concetto di «scopare».

Uhm. Fammi capire, Scurati. Le scopate consapevoli e politicizzate degli anni ’70 erano sane, e quelle edoniste degli anni ’80 “pervertite”?! Beh, forse, chi può dirlo. Ma qui non si parla -almeno spero- di etica, di approccio morale al sesso, giusto? Qui si parla di AIDS. Di un virus che si trasmette sessualmente (e non solo, come vedremo poi). E, ai fini pratici (scusa il tecnicismo, il pragmatismo poco umanista, viziato da freddo scientismo), il virus se ne fotte dello spirito con cui scopi: se non ti sei preso l’AIDS negli anni ’70 o ’60 (ma magari sifilide, gonorrea ed altre piacevoli alternative si) è stato solo per una circostanza extraculturale, non certo perché si scopava meglio o meno. Mi sbaglio? Non so, andiamo avanti ancora.

Per le donne e gli uomini della mia generazione, nati tra la fine dei ’60 e il principio dei ’70, l’AIDS fu una prima apocalittica rivelazione riguardo alla fatuità e falsità dell’ideologia edonista profusa prima dai gruppi di potere e poi dai ceti di governo proprio a cominciare dagli anni ’80. La sperimentammo sulla nostra pelle quella menzogna anzi – è proprio il caso di dirlo – nella nostra carne. Ci affacciammo, infatti, all’età biologica del godimento sessuale proprio quando l’agghiacciante consapevolezza riguardante il diffondersi della malattia proclamava che la festa era finita (sebbene alcuni uomini degli anni ’80 si siano ostinati a negarlo fino a ieri, anzi, fino a oggi). Raggiunti i sedici anni, quando, carichi di ormoni e di fantasie sessuali alimentate dalla dilagante nudità dei corpi, ci sentimmo pronti a buttarci nell’orgia scatenata dai nostri fratelli maggiori che erano passati dalle ammucchiate fricchettone alle agenzie pubblicitarie, ci dissero che l’orgia era un brodo di cultura d’infezione. Non avremmo addentato il frutto proibito, e non per timore del peccato ma perché era un frutto avvelenato. Per noi occidentali, l’AIDS infettava direttamente il cuore della nostra mitologia tardo-moderna. Era una piaga tipica della società dei consumi, strettamente correlata agli «stili di vita», recentemente elevati a suprema ideologia libertaria

Qui non cadrò nella tentazione di fare una grossolana ironia per attribuire l’appassionato sdegno moralista di Scurati ad una frustazione giovanile da promesse di coito tragicamente disattese.  Benchè di qualche anno più grande di lui, posso assicurare, testimoni alla mano (espressione quantomai pertinente, mi rendo conto dopo averla scritta), che mi darei la zappa sui piedi, essendo stato all’epoca tutt’altro che uno sfrenato libertino.

Ma tornando al punto, l’AIDS, sostiene il nostro, è stato un’ apocalittica rivelazione. Non il problema, la tragedia, l’argomento: ma un elemento di verità, che rivela il vero problema, e cioè la fatuità e falsità dell’ideologia edonista profusa prima dai gruppi di potere e poi dai ceti di governo. Le ammucchiate fricchettone non si capisce se facessero parte della stessa diabolica manipolazione del potere (davvero diabolico: la cultura dominante che crea la controcultura per poi poter affermare la contro-controcultura dell’edonismo consumista, altro che Orwell!) oppure se, essendo espressione del periodo precedente, ancora espressione di genuini conflitti politico-sociali, debbano essere considerate per questo senza macchia, e quindi per un’evidente Volontà Superiore, esenti da virus. Virus che peraltro, omissione non secondaria, si trasmette non solo per via sessuale, ma per contaminazione ematica. Per lo scambio di siringhe infette collegate all’uso di eroina, droga le cui radici “culturali” forse non sono precisamente quelle dell’efficientismo vitalista degli anni ’80 e seguenti. La cocaina non sembra fornire apocalissi e rivelazioni, peccato.

Più vado avanti a leggere e più mi pare che il delirio moralistico di Scurati, infuocato dalla più consunta retorica apocalittica (in senso largo, culturale, adorniano), approdi, sotto le spoglie ipocrite di un grido di dolore “umanistico”, ne più ne meno che al bigottismo ipocrita di stampo clericale. Leggasi sotto:

Ci è stato giustamente insegnato che trasformare una malattia in metafora è gesto spesso ideologicamente perverso ma è davvero difficile non notare come l’ossessione del «rapporto protetto» sia presto diventato un paradigma per l’Occidente in crisi dei decenni successivi. Dalla metà degli anni ’80 in avanti, (…) non essendo affatto propensi a rinunciare al nostro sfrenato godimento, volendo anzi continuare a lussureggiare anche in futuro, (…) abbiamo creduto di poter continuare ad andare a letto con lo spirito del tempo dei fatui e sciagurati anni ’80 indossando un preservativo, una piccola guaina di lattice immunizzante che ci garantisse l’orgasmo preservandoci, però, dal contatto con la realtà del mondo, dell’altro e, soprattutto, di noi stessi.

Insomma, Scurati è talmente attratto dal concetto di perversione che un rigo dopo avercene messo in guardia, come conseguenza di un incauto uso retorico, la abbraccia senza riserve e conclude, con un altissimo volo nei cieli della morale, stigmatizzando più o meno esplicitamente l’uso del preservativo, che, tra gli altri problemi più o meno metaforici, ci allontana dal mondo, dagli altri e da noi stessi. Perchè non siamo propensi a rinunciare al nostro sfrenato godimento. C’è solo da scegliere tra Ratzinger e Ferrara. Ma forse il modello originario è da ricercarsi altrove: in una frase pronunciata, molti anni fa, dall’allora ministro della sanità italiano Carlo Donat Cattin, il quale, di fronte alle prime evidenze dell’emergenza HIV, dichiarò che l’AIDS “non se lo prende chi non se lo va a cercare”. Appunto.

Vedi anche:

Bambine in fiamme ed elefanti capovolti

Chi ci ricorda / 7

La gloriosa rubrica di confronti canzonettari ritorna qui con un bizzarro accoppiamento vintage-camp.

Brian Eno

Nell’anno di grazia 1974, Brian Eno, fuoriuscito dai Roxy Music ancora carico di piume e paillettes ma già geniale manipolatore di suoni, mette mano alla sua prima prova da solista, lato canzoni pop eterodosse, tra residui di glam e sperimentazioni geniali, che anticipano e tracciano la via di quasi tutto ciò che di buono sarebbe apparso sulla scena nei successivi vent’anni o giù di lì. Baby’s on fire è il suo primo singolo, che vede tra gli altri illustri ospiti Robert Fripp alla chitarra.

Ivan CattaneoIn quegli stessi anni, un giovane artista milanese, Ivan Cattaneo, cantante tra i primissimi a dichiararsi gay militante, si muoveva nei territori “alternativi” e creativi, anch’egli saturo di fondotinta e buone idee. Apparentemente originalissime, ma in realtà con un orecchio e forse due rivolte oltremanica, e proprio lì dove Eno aveva cominciato a seminare le sue intuizioni da non musicista mentre stappava il flacone di struccante. La somiglianza di L’elefante è capovolto?, uscito come singolo nel 1976 per la produzione di Roberto Colombo, allora considerato il Frank Zappa italiano, col brano di Eno, oggi pare evidente. Ma in un contesto nazionale in cui i modelli dominanti erano tristissimi cantautorate “impegnate” o terribili prolissità progressive, quel riferimento era una boccata d’aria fresca.
Poi venne Italian graffiati, e poi ancora Music Farm, e poi  non saprei. Ma questa è un’altra storia.

Brian Eno: Baby’s on fire / Ivan Cattaneo: L’elefante è capovolto?

  1. Brian Eno: Baby’s on fire (single version) (1974)
  2. Ivan Cattaneo: L’elefante è capovolto? (1976)

Vedi anche:

Toccare il font

Manifesto de la destra in occasione del gay pride: famiglia tradizionale: uomo, donna, figli contro ogni aberrazionePer le strade di Napoli in questi giorni, a ridosso del Gay Pride, è comparso il grazioso manifesto che vedete qui a fianco.
Ora, io credo che spesso i dettagli marginali siano altrettanto o più rivelatori che la sostanza del messaggio. Questo manifesto è aberrante, certo, per ciò che dice. Ma avete notato come ce lo dice? Effetto photoshopparo da quattro soldi (forse la malcapitata “famiglia tradizionale” nella foto non voleva farsi riconoscere, e te credo). Ma soprattutto, trionfa il carattere Comic Sans MT. In rosso bordato bianco su fondo blu con effetto ombra. Probabile Wordart.

Come dire. Modernità, dimestichezza con la tecnologia ed efficacia nella comunicazione.

Mentre mi confermo ogni giorno di più che chi usa il Comic Sans non è necessariamente un cretino (sono un tipo laico e tollerante), ma va guardato perlomeno con sospetto, scopro che  c’è chi la pensa diversamente. Ma spero sia solo un paradosso.

Vedi anche:

Roma, 12 maggio 2007

E’ un periodo in cui tira una brutta aria, in Italia. C’è un Buttiglione che sostiene che “C’è una sinistra in crisi che ha perso la sua identità anti capitalista e scarica la sua insoddisfazione contro la chiesa cattolica. Come i nazisti con gli ebrei (fossi ebreo, mi arrabbierei parecchio). C’è l’Osservatore Romano che da del terrorista ad uno che ha fatto una blanda battuta sulla Chiesa. C’è una manifestazione “per la famiglia”, indetta guardacaso il giorno della vittoria del referendum sul divorzio, e di cui l’organizzatore sostiene essere esplicitamente contro l’approvazione dei Dico.
Questi sono solo gli ultimi esempi.

E’ giusto non fare gl’isterici, non alzare barricate, non alzare i toni, soprattutto quando a farlo sono gli altri, quelli della predicazione dell’ “amore”.

Ma forse è il caso di ricordare, a loro, ma soprattutto ad una classe politica che definire mediocre o (ser)vile è eufemistico, che c’è un’altra Italia, che tiene alla propria libertà di scelta nell’ambito dei comportamenti privati così come a quella degli altri. Che non vuole imporre le proprie visioni etiche a tutti. Che non desidera nel proprio paese leggi che avallano discriminazioni in base ad orientamenti sessuali (e religiosi, e politici, e di ogni tipo).

E’ l’Italia che vinse il 12 maggio 1974. E che sarà a Roma, in Piazza Navona, sabato prossimo.
Questo blog aderisce idealmente, se non personalmente, alla manifestazione di cui vedete a destra il banner.

Vedi anche:

Telegrammi Camp

Chi ci ricorda / 5 bis

Gloria GaynorQuesto post è un’integrazione all’ultimo chiciricorda (già piuttosto vecchio). Dunque, se il gentile navigatore desidera un’informazione completa, è pregato, laddove non l’abbia già fatto, di leggere / ascoltare la necessaria premessa.
Detto questo, veniamo al dunque. La mia amica L., che si appresta a celebrare i suoi quarant’anni con una grande festa danzante, mi ha pregato di confezionarle una compilation per la bisogna, all’insegna della disco ‘70-’80. Cosa che ho scrupolosamente fatto, attingendo ad un repertorio che, come molti, aborrivo da adolescente ed oggi mi procura brividi di godimento proibito. Immergendo le mani dentro questo ribollente calderone, tra una palla di specchietti rifrangenti, un flacone di paillettes, alcune giacche bianche e un tubo di Tenax, ho (ri)trovato tra gli altri reperti canori un paio di favolosi pezzi che hanno in comune il periodo, il riff telegrafico di cui sopra (per il sopra, vedi sopra) e le interpreti, due figure gloriose della mitologia camp, due icone gay, due personaggi ‘oltre’: Raffaella Carrà e Gloria Gaynor. Raffaella CarràE ho detto tutto, direbbe Peppino. Chi ci ricorda, e chi le ricorda? Tra i miei coetanei, tutti, credo. I più giovani, senz’altro riconosceranno la canzone che ha rilanciato nelle charts qualche anno fa Geri Halliwell (però vuoi mettere con Gloria?). Ma la vera perla è Rumore. Un pezzo che, detto senza ironia, a risentirlo adesso, non è affatto male, anzi, ha un tiro da fare invidia. E tutt’e due telegrafano, telegrafano…..

The Weather GirlsE un telegrafo scrupoloso – a post già scritto – mi ha fatto rendere conto del fatto che in realtà It’s raining men non era cantato da Gloria, ma da un gruppo che si chiama The Weather Girls. Che volete, sulla rete circolano un sacco di files approssimativi (oops! l’ho detto!…) e così apocrifi di ogni tipo traggono in inganno il pover’uomo non espertissimo (io forse sono un po’ esperto d’altro, ma non sono certo un filologo della disco). Comunque tutto ciò non sposta di molto quanto ho scritto, e faccio ammenda mettendoci una foto anche delle due grassone. Ecco.

Camp telegram

  1. Raffaella Carrà: Rumore (1974)
  2. The Weather Girls: It’s raining men (1983)

Vedi anche:

Mandolini rosa (Mater Natura)

Mater NaturaL’altra sera, all’entrata del Cinema Modernissimo, con la mia girlfriend ci si poneva il seguente dilemma: quale film scegliere tra Il regista di matrimoni, L’era glaciale 2 e Mater Natura?
Dopo una rapida consultazione abbiamo optato per quest’ultimo, dicendoci in cuor nostro “massì, diamo una chance ad un film italiano che dicono sia divertente ed originale, e potrebbe rivelarsi una sorpresa. E’ pure girato a Napoli e ci sono un sacco di quegli attori checche che ci piacciono tanto…”.
Mal ce ne incolse.
Intendiamoci. Non abbiamo sofferto più di tanto, e c’è stato pure qualche momento divertente. Ma purtroppo già l’ambizione evidente di questo film (mescolare Almodòvar ed Eduardo, il camp ed il melò con Filumena e l’iconografia femminiellistico-mediterranea tra farsa e commedia, non senza un tocco di “surreale” o “magico” -aboliamo per favore questi due aggettivi-) è stata gia tentata svariate volte, dimostrandosi inapplicabile e stantìa già dopo il secondo tentativo. Inoltre, qui piuttosto che con Douglas Sirk abbiamo a che fare con Un posto al sole, quando ci va bene. La sfilata delle solite macchiette frocio-vaiasse diverte ed è sempre identica a sè stessa. In nome di questa presunta diversità che è ormai neoolegrafia pura, gli autori credono di essere assolti dall’approssimazione e dall’ inconsistenza che pervade questo film (a cominciare dall’implicita e tremenda freddura del trans protagonista che si chiama Desiderio fino al rimarchevole maschio mediterraneo oggetto di passione: un attore la cui schiena è decisamente più espressiva del volto, al cui confronto lo sguardo da bracco rincoglionito di Alex Britti sembra quello di Al Pacino).

Il conto:
Spesi: 7 euro
Valore effettivo: 3,50 euro
Bilancio: -3,50 euro

Vedi anche: