La memoria è un’ossessione, in generale, per molti. Per me senz’altro. Mi rendo conto che più passa il tempo più corro il rischio di sprofondare in un piccolo inferno autoreferenziale, fatto di infanzia congelata e di tanti frammenti autoconsolatori: canzoni, ectoplasmi televisivi, oggetti, eventi remoti che spesso mi allontanano dal presente più di quanto vorrebbero essere (e spesso sono davvero) una chiave d’interpretazione, una luce sull’oggi.
Freno la pippa speculativa e vengo al dunque. Voglio parlare oggi, ad otto anni dalla sua morte, di una persona che ho molto amato da bambino e che, riscoperto da grande, amo con maggior consapevolezza e tenerezza. Questa persona è Nino Ferrer.
Lo adoravo quando cantava (pochi cantanti non mi annoiavano, nella noia generale della mia infanzia televisiva, e lui era il numero uno del divertimento), e quando faceva lo scemo nei varietà del sabato, sempre con quell’aria furba da guascone sciupafemmine e pieno di vita. E poi, il primo disco che ho ascoltato in assoluto, credo, è stato suo. Lo comprò un mio fratello. Girava in continuazione sulla fonovaligia di casa. Era Le Telefon: chissà perchè, nella versione francese.
Mentre crescevo, lui scompariva dalle scene, almeno in Italia. Non era certamente più un popolare artista quando, durante un viaggio in Francia, recuperai una sua cassetta, e mi dissi cavolo, ma era davvero bravo. Uno che era in grado di fare del R’n'B di tutto rispetto essendo biondo, mezzo francese e mezzo italiano, e senza sembrare ridicolo. Ma non solo. Uno che scriveva belle canzoni, che sapeva attraversare con leggerezza il beat, il jazz, il blues, la bossanova. Che suonava con musicisti con le strapalle (Manu Dibango tra gli altri).
E poi, uno che sapeva scrivere e giocare con grande intelligenza con le parole. I suoi testi, quelli che non erano marchette d’occasione (e pure quelle erano carine), sono spesso pieni di invenzioni tipicamente francesi, di quella tradizione ludico-letteraria che va da Roussel a Queneau, all’Oulipo: Omofonie, calembour, gusto della costruzione delle frasi e soprattutto tassonomie, molto alla Perec (tanto per gradire: un altra presenza ossessiva e produttrice di ossessioni e di memoria. Il cerchio si è chiuso quando, rileggendo Mi Ricordo, mi sono imbattuto in “Mi ricordo Gaston y a l’téléfon qui son“).
C’è da poco un suo sito ufficiale: è carino e ben fatto. Vale la pena di dargli un’occhiata.
L’ultimo ricordo che depongo qui è quello di otto anni fa, in un agosto più o meno come gli altri, più o meno come questo. Lessi o sentii per radio che l’uomo che per me aveva rappresentato l’archetipo, l’imprinting originario dell’allegria e della gioia di vivere, si era sucidato. Rimasi sconvolto. Nino Ferrer si era sparato una fucilata nella sua casa di campagna, il 13 agosto del 1998, due giorni prima del suo sessantaquattresimo compleanno.
Tag: georges perec
Il Re d’Inghilterra
Perec: Sparizioni e Memoria
Oggi è il ventiquattresimo anniversario della morte di Georges Perec. Posto qui, dopo averlo rivisto, un articolo che scrissi qualche anno fa per “Storie“
Il 3 marzo del 1982 muore, a 46 anni, Georges Perec. Questa estrema ‘sparizione’ conclude emblematicamente la storia personale di uno scrittore che ha fatto dell’assenza, degli eventi di lenta o repentina scomparsa e dei tentativi di recupero uno degli elementi centrali della sua scrittura.
Tredici anni prima era uscito presso Gallimard il suo romanzo ‘La Disparition’. Un opera che non è eccessivo definire sconvolgente: si tratta infatti infatti del primo romanzo lipogrammatico mai pubblicato: oltre 300 pagine dalle quali è completamente assente (da cui la sparizione del titolo) la vocale ‘E’, la più frequente nella lingua francese.
Questa operazione apparentemente folle non è altro che un’applicazione radicale della contrainte (letteralmente: costrizione), il caposaldo teorico dell’ OuLiPo (Ouvroir de Litterature Potentielle). Questo gruppo, creato da Raymond Queneau e Francois Le Lionnais, elaborò la pratica di una Letteratura Potenziale che, attraverso la imposizione di rigidi vincoli (intesi fondamentalmente come regole di un gioco che impegna lo scrittore in una sfida alla propria creatività), si propone come un motore di nuove possibilità per la scrittura. Perec – che era anche un enigmista e cultore di giochi linguistico/letterari- diventò ben presto uno dei membri più assidui e rigorosi di questo laboratorio. Italo Calvino, Read more »