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Pelikan

portatimbriCi si può commuovere guardando, nel reparto amministrazione di un ufficio, una fila di timbri, perfettamente ordinati in una scatola sopra uno scaffale? Si può, io ho potuto. Oggi alle 18, aspettando che Giovanni finisse il lavoro, per darmi un passaggio. Osservavo la minuziosa disposizione dei timbri autoinchiostranti, uno vicino all’altro, ognuno con la sua etichetta sotto il cappuccio di plastica trasparente, che riportava la completa intestazione delle varie società, e poi l’altro gruppo, per vari usi: assicurata, il legale rappresentante, iva assolta ai sensi.

E mi è venuto in mente mio padre.

Uno struggente sentimento di perdita. Non solo la sua, individuale, ma quella, estesa, di ciò che lui aveva costruito. Il suo negozio. Il nostro. Ciò che lui aveva costruito e che ha costruito -o quanto meno nutrito- me, noi, la sua famiglia.

Nei miei momenti più distruttivi lo ricordo inutilmente “metodico”, e in quelle ossessioni mi rispecchio per disprezzarmi. Faceva liste anche lui, aveva il culto del dettaglio ordinato, preciso e non necessariamente utile. Scriveva ordinatamente a macchina le prescrizioni per la sua dieta, indicate dal medico, poi attaccava il foglio ritagliato sul muro della cucina. E non la rispettava mai. Un giorno la gettai con rabbia nella spazzatura. Si raccomandava con me, quando già cominciava a star male spesso, di chiamare, nel caso, quel certo numero di servizio ambulanze che era convenzionato con la sua associazione di commercianti anziani, ed io scalpitavo d’insofferenza: se ti senti male sarà l’ultima cosa a cui penserò, quel numero, mi dicevo e gli dicevo.

Ma la storia dei timbri, no, quella è un’altra cosa.

Lui faceva bene il suo lavoro, il meglio che poteva. A suo modo, da autodidatta metodico. Ed ora non c’è più nulla, se non, appunto, un’onda di ricordi, di fantasmi. Tutto dissolto, sparito, compreso il benessere costruito e dissipato.

Quei vecchi timbri di metallo legno e gomma, il pomello rosso laterale che, girando, cambiava la scritta che avrebbe stampato sulla carta dopo aver premuto bene sul tampone STAMPE NON TRASFERIBILE PER QUIETANZA ESPRESSO PAGATO. O il datario, con le rotelline che facevano girare giorni, mesi mozzi GEN FEB MAR, un numero finito di anni a quattro cifre del secolo scorso. Ci ho giocato a lungo, da bambino, per non annoiarmi troppo dietro al bancone. Da bambino ho sognato uno di quei timbri che mi annunciava la data della mia morte. Lo tenevo tra le mani sporche d’inchiostro violetto e leggevo quella data che non ricordo, invertita prima, sulla gomma, stampata poi, sul foglio. Era una data di settembre o novembre, ed aveva molti uno. Era una data dritta, acuminata.

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Souvlaki in tour

Souvlaki

Doveroso momento autopromozionale: del libro-spiedino di cui si parla qui stanno per aver luogo due presentazioni due in Italia centromeridionale:

La prima ci sarà Venerdi 17 settembre 2010 a Roma, alle ore 19 presso la Libreria Altroquando (Via del Governo Vecchio 80).

La seconda sarà a Napoli, Sabato 18 settembre alla Libreria Treves, in Piazza Plebiscito  12, con la presenza / presentazione di Antonella Del Giudice.

Accorrete numerosi.

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Fair game

Ieri, 15 agosto, su un quotidiano napoletano, è uscito un raccontino estivo del vostro titolare. Data la data e la estrema improbabilità che lo abbiate letto numerosi (qui il link al pdf online), lo ripubblico qui. Buone vacanze.


angelo del silenzio“Noi veneriamo il silenzio”.

Il cartello, stampato in grossi caratteri azzurrini ed incorniciato in legno scuro, torreggiava sulla parete della sala esattamente in corrispondenza dell’austero chignon della bibliotecaria, l’irreprensibile miss Eunice Bartlett. Ora va precisato, per amor di verità, che non ci troviamo in una nebbiosa città britannica, magari in un solenne edificio vittoriano, odoroso di polveri secolari accumulatesi tra le pagine di pregiati volumi. No. La scena testé descritta ha luogo nella biblioteca comunale di Carditello, ridente paesino dell’entroterra campano, e, ci duole dirlo, il nome della bibliotecaria, che avevamo contraffatto per creare un’illusione romanzesca, è in realtà quello di Maria Addolorata Cannatiello, coniugata Piscopo. Era il quindici di luglio, e dalle finestre della non ampia sala, spalancate per il caldo e per la mancanza di climatizzazione, giungevano garrule le voci di giovani carditellesi intenti al giuoco del football (questo si, indubitabilmente britannico), ora incitantisi l’un l’altro nella tensione agonistica, ora veementemente recriminanti per occasioni perse o ingiustizie subite.
Si capirà dunque come il cartello descritto all’inizio, visto nel suo contesto, suoni come la rassegnata venerazione di un nume assente, di un dio che rifiuta di mostrarsi, piuttosto che un invito a non far baccano.
Cappiello Anna si avvicinò al banco e chiese a Mary – diminutivo anglosassone della signora Piscopo – se teneva il libro di quello scrittore russo che aveva scritto guerreppàce, ma no però guerreppàce, quell’altro con quella che poi alla fine si votta sotto al treno.
-  Ah, Anna Karenina?
-  Eh, si, quello. Chella cessa della Cacace ce l’ha assegnato per le vacanze. Speriamo che non è troppo grosso.
La pseudo-Eunice guardò Anna – curiosamente omonima della sfortunata eroina tolstoiana –  con un’espressione di biasimo nel sopracciglio e si avviò verso gl’impolverati scaffali di fronte al finestrone.
Nel preciso istante in cui, individuato il volume, lo estraeva con piglio professionale, fu raggiunta in piena nuca da un Super Santos introdottosi fulmineo dalla finestra a seguito di un mal calibrato cross di Caramiello Eduardo, che per inciso era stato rimandato in tre materie, ed in quel momento avrebbe dovuto essere dal professore Caso a fare ripetizione.
Chella granda bucchìn’ ‘e mammeta!…
La frase volteggiò leggiadra dallo spiazzo sottostante fino alle delicate orecchie di Maria Addolorata – nomen omen, almeno in questa circostanza –, che era rovinata sul linoleum verdolino. Fu seguita però da un più ragionato e supplichevole Signurì, scusate, ce lo ributtate il pallone?
Anna si era intanto precipitata a soccorrere la sventurata bibliotecaria e, presa da un moto di insorgenza civile, urlò verso la finestra: Vuò veré che mò t’o schiatto?! E manco chiede scusa! Ma siete proprio degli zulù!
Questa frase ebbe un effetto insperato.
Il Venerato Silenzio fece finalmente la sua comparsa. In lontananza, dalle verdi campagne dell’agro atellano, arrivavano smorzate le voci di cicale e cardellini, accompagnatori angelici del dio che aveva conquistato, temporaneamente ma con abbacinante gloria, quei settanta metri quadri di legno, muratura e alluminio anodizzato.
Mary Piscopo si rialzò, e spolverandosi la gonna lanciò uno sguardo di approvazione alla giudiziosa ragazza. Le porse il libro (pp. 804), suscitando nella giovane un fremito d’orrore, e le disse a bassa voce: – E’ bello, ti piacerà.
Ma il Venerato sparì così come si era presentato. I giovani sportsmen vociavano di sotto, dopo essersi ripresi dallo stupor mundi che li aveva attanagliati. La signora Cannatiello in Piscopo si aggiustò di nuovo la gonna e, rinunciando ad un proposito pedagogico più drastico per mancanza di forbici a portata di mano, gettò il pallone dalla finestra. Una barbarica ovazione lo accolse.
Anna salutò Mary, uscì dalla sala, si rimise le cuffiette e riprese l’ascolto di Antonacci.
La bibliotecaria si sedette dietro al banco e riprese a leggere l’articolo di Donna Moderna intitolato “Evasione fiscale e matrimoni omosessuali: le emozioni della settimana”.
Fuori, l’estate risplendeva sui verdi campi di asparagi e sulle placide bufale al pascolo.

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Spiedino

Souvlaki - Antologia di racconti illustratiE’ uscita da poco una raccolta di racconti illustrati, Souvlaki, che comprende anche un mio contributo. So di essere giudice non imparziale, ma mi sembra un bell’oggetto. I racconti (almeno quelli degli altri) sono belli, e le illustrazioni (tutte di bravissimi illustratori italiani) forse anche di più. E’ un’operazione fatta con amore e professionalità, da persone -i ragazzi di Tapirulan- che amano il loro mestiere.

Se, come spero, morite dalla voglia di leggerlo avendolo tra le mani, potete comprarlo qui.

Se volete leggerlo, non vi va di spendere pochi euro, e non vi fa specie uccidervi la vista sui monitor, qui c’è una versione online (in flash, carina, con le pagine sfogliabili).

Questa è la pagina del libro su Anobii.

Vedi anche:

Ricominciamo

Adriano Pappalardo - RicominciamoDue anni, tre mesi e una quindicina di giorni: il tempo trascorso dall’ultima volta che ho scritto qualcosa qui. Sono successe tante cose, o forse questo è un modo di dire. Ne sono successe tante, ma per altri versi è cambiato poco, nel mondo come nella mia vita. E’ irrotto Facebook nelle esistenze di molti, e nella mia ha canalizzato la voglia di scrivere “sociale”, spostandola quasi sempre verso il versante cazzaro. Succede. Però poi, da un pò mi è tornata la voglia di condividere col mondo (?) alcune cose serie e facete, in uno spazio più accogliente, ampio e meno affollato. Senza applicazioni, senza Farmville, senza inviti ad eventi assurdi. Rileggevo ogni tanto il mio blog, e mi dicevo peccato. Ed eccomi qua. Speriamo che vi (ri)piaccia.

Vedi anche:

I say a little prayer

Oggi, 12 maggio, è una giornata un po’ particolare.
79 anni fa, nasceva Burt Bacharach. Un uomo che ha reso spesso le mie giornate più felici, uno di quelli al vertice del mio personalissimo pantheon.
Nello stesso giorno, trentasei anni dopo, molto più modestamente, nasceva lo scrivente umilissimo titolare del presente blog.
Nei momenti di sconforto, questa piccola coincidenza mi regala una minima consolazione. Ma oggi non è il caso di sconfortarsi. Auguri!

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