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Liberi e belli

Lacca Libera e BellaPrologo.

Anni fa, certamente prima dell’11 settembre 2001, quando i talebani imperversavano in Afghanistan, e si moltiplicavano gli appelli umanitari, di solidarietà soprattutto alle donne umiliate, torturate, uccise, proprio in quel periodo collaboravo con un istituto “culturale”, qui a Napoli. Ogni lunedi ci si riuniva per definire i programmi, gli eventi da organizzare eccetera. Uno di questi lunedi, una ragazza, laureata in sociologia, mi racconta il contenuto della conferenza che avrebbe dovuto tenere lì, dopo un paio di giorni. In sintesi, affermava che, al di là delle superficiali apparenze,  la condizione delle donne afghane era pressoché identica a quella delle donne occidentali. Entrambe vittime, sebbene in forma differente, del potere maschile, dell’oppressione sociale.
Naturalmente
trasecolai, e le chiesi se non si fosse spinta un po’ troppo in là con il paradosso, con la provocazione. Mi rispose sorridendo, con l’aria compiaciuta di chi l’ha fatta grossa ma è sicura di passarla liscia, che no, non c’era nessun paradosso, nessuna provocazione. Lei davvero pensava quello. Mi guardai intorno aspettandomi stupori analoghi al mio. Invece, in quel gruppo di benestanti signore di buona famiglia e di migliori principii progressisti, di giovani e meno giovani volontari pieni di ardore, cultura e idealità, si mormoravano cose tipo “vabbè, magari è un po’ esagerato, ma in fondo… la società dei consumi, ‘sti americani… pure qua stiamo inguaiati, che mondo, che schifo… va sempre peggio…”

Statua della Libertà

Fine del prologo.

Qualche giorno fa ho partecipato, come esponente della comunità degli scriventi, ad una manifestazione organizzata da alcune case editrici contro il ddl Alfano sulle intercettazioni, dedicata alla Libertà d’espressione. Si trattava di Read more »

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Per essere chiari

Bandiera Israeliana

Io -il titolare di questo blog-, per quanto poco importi all’universo, solo accidentalmente ora, dopo la faccenda della lista dei professori della lobby sionista e quella della contestazione della presenza di Israele al Salone del Libro, e prima di innumerevoli altre pericolose idiozie che inevitabilmente seguiranno, sento il bisogno di dichiarare formalmente:

  • che sono un lobbysta sionista
  • che amo appassionatamente la cultura ebraica, gli scrittori ebrei, i musicisti ebrei, gli artisti ebrei, i registi ebrei, gli sceneggiatori ebrei, gli attori ebrei, gli psicologi ebrei, i filosofi ebrei. Gli ebrei;
  • che sto dalla parte di Israele e degli israeliani contro coloro che vogliono buttarli a mare da sessant’anni, indipendentemente dal fatto che anche i palestinesi abbiano diritto ad uno stato democratico;
  • che sono sempre più preoccupato, e con fondati motivi, dell’antisemitismo che avvelena le menti ed i cuori di un sacco di gente, travestito da “antisionismo”, e giustificato da un idiota riflesso di presunta “giustizia”;
  • che mi piacerebbe essere -forse lo sono, non lo so- uno sporco ebreo
  • che tutto il peggio che abbia prodotto l’umanità, nelle manifestazioni organizzate di tipo ideologico (il nazifascimo, lo stalinismo, l’integralismo islamico, l’inquisizione, ecc.), ha in comune almeno i nemici: gli ebrei. E Israele, la democrazia liberale, gli Stati Uniti;
  • che questo, anche se non solo questo, sia già un ottimo motivo per amare gli ebrei, Israele, la democrazia liberale, gli Stati Uniti.

Ecco fatto. Ora va un po’ meglio

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Breach – l’infiltrato

Breach - Chris CooperQualche giorno fa, volevo andare a vedere Zodiac. Arrivato al cinema, mi sono reso conto che lo spettacolo indicato sul giornale non c’era. Ho ripiegato quindi su questo. E, avendo visto poco dopo anche il film di Fincher (di cui parlerò a breve), devo dire che tutto sommato, questo si è rivelato leggermente migliore, al contrario delle aspettative. Ma in entrambi i casi si tratta di film che destano perplessità.
Come Zodiac, racconta una storia vera. E come Zodiac (per chi si è informato), toglie in parte il gusto della sorpresa per l’esito finale, che si conosce in anticipo. Qui addirittura il film comincia con il filmato (vero) del procuratore Ashcroft che annuncia la cattura di Robert Hanssen, funzionario dell’FBI, altissimo responsabile dei servizi di spionaggio, che per vent’anni aveva passato informazioni al nemico, i Sovietici prima ed i Russi poi. Tutto il film è quindi una ricostruzione delle delicatissime indagini per incastrare quest’uomo, nel mirino dei colleghi da anni ma talmente abile nelle sue mosse da non lasciare alcuna “smoking gun” che potesse consentirne la condanna. Ed anche, secondo un filone narrativo classico, dei rapporti psicologici che si vengono a creare tra lui ed il giovane agente che gli viene assegnato come assistente con l’incarico di stanarlo e trovare le prove del tradimento, e col quale stabilisce anche un complesso legame non privo di fascinazione. Hanssen, interpretato da Chris Cooper, il generale criptoomosessuale ed assassino di American Beauty è una personalità complessa e disturbata. Cattolico integralista fino alla paranoia, membro dell’Opus Dei, aspro, arrogante e frustrato, ma anche segretamente dedito a voyeurismi sessuali e spia dei Comunisti, è un vero enigma. Ed il limite del film è proprio il fatto che quest’enigma non viene illuminato. Seguiamo il protagonista nei suoi movimenti reali e psicologici ed avvertiamo anche un suo tormento autentico, nell’immane contraddizione che incarna. Ma non riusciamo a decifrarlo, ed aspettiamo alla fine un minimo di luce. Il film finisce, circolarmente, con la sua cattura e ci si aspetta proprio questo: che ci venga rivelato qualcosa, di e da Hanssen. Ma nulla sapremo di quello che ha detto, delle sue motivazioni, delle suo rivelarsi (liberarsi?) davanti alla Giustizia, se non un breve scambio di battute con i colleghi che lo arrestano, che sembra preludere allo svelamento e che invece chiude la faccenda lì.
Questo film, che per quasi tutto il tempo sembra puntare soprattutto sulla chiave relazionale/psicologica, si chiude invece come se fosse un semplice thriller in cui l’unico problema è arrestare il cattivo. E lascia piuttosto perplessi per questo. Certo, c’è l’altro aspetto, il tormento del giovane agente, il suo scontrarsi con la realtà divorante di un mestiere che rende quasi impossibile una vita affettiva “normale” e relazioni personali che escludano finzioni ed omissioni, ma non sembra questo un filone particolarmente originale nei film hollywoodiani a base di poliziotti e spie. Così come il classicissimo discorso morale, tipicamente Americano e Protestante, sull’etica della responsabilità cui far riferimento nei momenti difficili (“Fa’ il tuo dovere: sali su quella barca e rema”).

E qui veniamo all’aspetto più interessante e preoccupante. Con l’aria che tira oggi in Italia, questo film qui,  se qualcuno se ne accorge, rischia di finire nel mirino dei neoclericali di tutte le risme che affollano rumorosamente tutti gli spazi disponibili. Hanssen è un Cattolico ipocrita, bigotto, cattivo e sessualmente pervertito (e perdipiù, osserviamo di sfuggita, ha un’inquietante somiglianza, nella faccia rugosa e floscia e nello sguardo stretto e acquoso, con Carlo Giovanardi). La morale del film, come dicevamo, è squisitamente protestante (benché anche il coprotagonista sia cattolico). E’ quanto basta per un articolo fiammeggiante sull’Avvenire o sul Foglio, se ci va bene. Se ci va male, per un’omelia, una dichiarazione dal pulpito, una reprimenda vescovile. Se ci va malissimo, per un’interrogazione parlamentare di Luca Volonté. Iddio ci assista.

Il conto:
Spesi: 7,50 euro
Valore effettivo: 4,50 euro
Bilancio: -3,00

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Roma, 12 maggio 2007

E’ un periodo in cui tira una brutta aria, in Italia. C’è un Buttiglione che sostiene che “C’è una sinistra in crisi che ha perso la sua identità anti capitalista e scarica la sua insoddisfazione contro la chiesa cattolica. Come i nazisti con gli ebrei (fossi ebreo, mi arrabbierei parecchio). C’è l’Osservatore Romano che da del terrorista ad uno che ha fatto una blanda battuta sulla Chiesa. C’è una manifestazione “per la famiglia”, indetta guardacaso il giorno della vittoria del referendum sul divorzio, e di cui l’organizzatore sostiene essere esplicitamente contro l’approvazione dei Dico.
Questi sono solo gli ultimi esempi.

E’ giusto non fare gl’isterici, non alzare barricate, non alzare i toni, soprattutto quando a farlo sono gli altri, quelli della predicazione dell’ “amore”.

Ma forse è il caso di ricordare, a loro, ma soprattutto ad una classe politica che definire mediocre o (ser)vile è eufemistico, che c’è un’altra Italia, che tiene alla propria libertà di scelta nell’ambito dei comportamenti privati così come a quella degli altri. Che non vuole imporre le proprie visioni etiche a tutti. Che non desidera nel proprio paese leggi che avallano discriminazioni in base ad orientamenti sessuali (e religiosi, e politici, e di ogni tipo).

E’ l’Italia che vinse il 12 maggio 1974. E che sarà a Roma, in Piazza Navona, sabato prossimo.
Questo blog aderisce idealmente, se non personalmente, alla manifestazione di cui vedete a destra il banner.

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Perdenti assassini

Manifesto della RSICapita, talvolta, che in un breve giro di tempo, arrivino uno dopo l’altro, attraverso canali differenti, parole, segnali che sembrano appartenere tutti allo stesso discorso, allo stesso senso, che sembrano voler dichiarare le stesse ipotesi, le stesse possibilità.

E quando quei segnali riverberano alcune delle proprie ossessioni personali, quelle parole risuonano ancora più sonore, più evidenti nel loro senso sincronico. A me è capitato da poco: tre incontri casuali nel giro di pochi giorni con lo stesso fantasma. Li riporto qui.

1. Domenica scorsa, durante la trasmissione su La7 di cui parlavo nel mio post precedente (Niente di Personale, condotta da Antonello Piroso), a un certo punto erano in studio, assieme, Alberto Franceschini, capo storico delle Brigate Rosse, e Mario Tuti, estremista di destra pluriomicida e pluriergastolano. Si parlava dei loro percorsi, e delle motivazioni che li hanno spinti a fare ciò che fecero. (Qui il video integrale)

Antonello Piroso: Franceschini ha detto: volevamo fare la rivoluzione…. Nel vostro caso, i neofascisti… che cosa volevate?

Mario Tuti: Noi non volevamo conquistare lo stato. Noi -la cosa può sembrare folle- ci sentivamo defraudati dalla sconfitta del 45…. Noi ci richiamavamo alla sconfitta. Non pensando di poter volgere quella sconfitta in una vittoria, ma come testimonianza. Non c’eravamo. Volevamo esserci anche noi… A me in quegli anni… mi fosse venuto come Faust, Mefistofele, m’avesse chiesto cosa volevo…. avrei chiesto di poter essere stato fucilato anch’io nell’agosto del ’44 in Santa Maria Novella, come racconta Malaparte…. lì furono fucilati i fascisti che avevano difeso Firenze. Era quella la mia aspirazione.

2. Oggi, leggo sul Mattino la recensione di Guido Caserza all’ultimo libro di Hans Magnus Enzesberger, Il perdente radicale. Ne riporto qualche stralcio.
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Vedi anche:

No

Di tutti gli interventi militari occidentali (o se preferite, guerre) degli ultimi anni, quello in Afghanistan dopo l’11 settembre è stato quello sulla cui necessità ho sempre avuto meno dubbi.
Poi, arriva una notizia come questa e mi prende un sentimento misto di sconforto e di rabbia.
Anche questa volta, mi riconosco, parola per parola, in quello che scrive Luca Sofri sul suo blog:

A me la notizia che in Afghanistan vogliano condannare a morte uno perché si è convertito al cristianesimo, fa abbastanza impressione. E che poi lo facciano o meno, cambia poco le cose. Quello è un paese dove si può essere uccisi per legge perché si segue una religione piuttosto che un’altra (quadruplo scandalo giuridico per noialtri: la pena di morte; la persecuzione di un non reato; la persecuzione della libertà di espressione; la commistione tra stato e chiesa): se uno aderisse ai metodi bushisti, ce ne sarebbe abbastanza da invadere il paese di nuovo per esportare la democrazia.
Se uno invece è di metodi più saggi, e non vuole usare questo tragico di stato di cose solo per regolare i propri conti politici con americani e filoamericani, mi pare sia il caso di pensare a pressioni serie e rigide: smettere di trattare l’Afghanistan come un paese amico e liberato finché permane questo stato di cose.

Aggiungo solo che forse quest’uomo si salverà dal patibolo (dalle pietre? dalle scimitarre? dai fucili?) se riuscirà a dimostrare di essere pazzo. Orrore su orrore.
A che diamine è servito “liberare” quel paese? 

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