Tag: napoli

Corpo d’un diavolo

james stewartUn classico archetipo dei personaggi dei comics è quello in cui si ritrovano sulla testa, nei momenti di sofferto dilemma morale, un diavoletto e un angioletto, versione maligna e versione buona di se stessi. L’uno, rosso, che istiga punzecchiando col forconcino a fare la scelta egoista e immorale, l’altro, candido, che sussurra suadenti parole di rettitudine ed onestà mentre svolazza sbattendo le alucce fragranti d’incenso. Ieri sera, mentre tornavo a casa in motorino, sferzato dal vento freddo e dalla pioggia, ho percepito con chiarezza di avere anch’io il mio satanello e il mio cherubino pronti ad azzuffarsi. Solo che, ora l’ho capito, sono di un tipo un po’ diverso dallo stereotipo disneyano. Serata inclemente, motorino traballante per le folate di vento mentre attraverso gli asfalti e i porfidi di queste strade mai uguali a se stesse (Napoli, città creativa, sempre sorprendente, non trovi mai un fosso nello stesso posto, che antidoto alla monotonia delle lisce e fredde, omologate carreggiate nordiche!). Mi fermo ad un semaforo che dà su Viale Augusto, vuoto di gente e scuro di negozi ormai chiusi. Aspetto il verde e guardo di fronte a me uno dei tristi palazzi popolar-moderni di questo quartiere. Non c’è neanche più a far velo la fila di palme nella piazzola centrale della strada: sono state tutte abbattute, decimate da un famelico insetto sterminatore. Nel palazzo noto un balcone, a un piano alto, illuminato da luci di Natale: una fila di lucine colorate che attraversa sbilenca l’inferriata e una cometa di piccole lampadine appesa al muro a fianco degli infissi. Da dentro trapela una pallida luce azzurrina.Ed ecco manifestarsi, finalmente adesso con inedita nettezza, il demonietto. Il mio demonietto di default. Il satanello triste. Il diavoluccio depresso e apocalittico, che in ogni manifestazione dell’universo sensibile mi incita a rilevarne il vuoto, la melanconia, il destino d’impermanenza. Ne colgo la presenza, mi giro una buona volta a guardarlo. E’ rosa sbiadito tendente al grigio, e al posto del forconcino ha un profilato di alluminio anodizzato da cui pende un blister di Prozac. Mi suggerisce con poca originalità di pensare alla triste tristezza cosmica di quel balcone, alle tristi serate delle tristi persone che colà spenderanno i giorni residui della loro triste esistenza, consumata sotto obitoriali luci fluorescenti bianche e, in sostanza, di identificarmi nella vacuità di quelle vite. Implicitamente non sconsiglia una possibilità di suicidio immediato (binari e treni sono in vicinanza, anzi, a pochi passi c’è una stazione collocata vari metri sotto la strada: gettarsi dal ponte sotto un treno in arrivo sarebbe gesto di rara efficacia estetica). Nei pochi secondi che mi separano dallo scattare del semaforo però succede qualcosa d’imprevisto. Un’altra vocina (di solito silente o soccombente) si fa avanti. Mi fa pensare che in quella casa forse c’è un bambino. Forse più di uno. Un bambino che è felice di avere le lucine sul balcone. E’ contento che la settimana prossima è Natale, magari ha fatto pure il presepe, aspetta dei regali, aspetta i parenti che gli stanno simpatici. Sente quel che sentivo io un milione di anni fa, quando il Natale mi rendeva felice. Ed ora un po’ di quella felicità, imprevedibilmente, occhieggia anche a me, mentre vedo il giallo dall’altra parte della strada che annuncia il prossimo via libera. E proprio mentre mi sorprendo di tutto ciò, in quel balcone, ma vedi, passa veloce una piccola silhouette dietro i vetri. Se non è un nanetto, è proprio lui. E pure la luce mi sembra un po’ più calda. Riparto, e avverto vagamente un piccolo trambusto sopra il casco, una piccola colluttazione. Sorrido beota andando verso la Mostra d’Oltremare mentre sento, nell’ordine, una vocina incazzata che dice “Maledetto Frank Capra”, un campanellino che risuona in lontananza e la vecchia accattona di Piazzale Tecchio che dice agli automobilisti “Scusate signore non avreste per caso qualche spicciolo?”

Vedi anche:

Spero di sbagliarmi

ernesto nathanMi ripromettevo di scrivere questo post dopo le elezioni. Una riflessione che dalle elezioni parte ma forse arriva altrove. E trova un’espressione, una frase fatta. Quest’espressione è “spero di sbagliarmi”. Volevo pronunciarla a proposito del neosindaco di Napoli, che ha suscitato e suscita la mia massima diffidenza, che ha modi e parole lontanissimi dal mio sentire, che trovo irritante, demagogico, persino stupido. E che pure avrei votato, se fossi ancora residente in città. Non starò a spiegare il perché, credo si capisca. Sono stato felice non tanto della sua personale elezione, ma del risultato globale delle amministrative, della sconfitta di una destra impresentabile e imbecille, in tutta Italia e qui a Napoli in particolare, dove l’infimo livello generale della classe politica tracima, in questa destra, nella migliore delle ipotesi in personaggi da commedia dell’arte, in quella peggiore in figuri da sceneggiata, da angiporto, da casa circondariale. Non che a sinistra brillino i novelli Parri e Calamandrei, anzi. Ma tra un tagliagole ed un borseggiatore si sceglie di evitare il primo. Qui poi c’era il gendarme, coi baffoni, la divisa e la voce tonitruante. Il borseggiatore si è dileguato, è rimasto il gendarme di fronte al tagliagole. Lo abbiamo invocato, adesso è sindaco. Ha “scassato”.

Spero di sbagliarmi. Ecco l’espressione su cui mi gingillo da un po’. Lo schema retorico è classico: si fa un’operazione critica, si allertano gli interlocutori sui rischi, i pericoli probabili di una certa situazione, gli indizi evidenti di questi pericoli. E si dice però: spero di sbagliarmi.

Quante volte è davvero sincera quest’espressione? Quante volte è anch’essa una forma insidiosa di retorica? Quante volte l’ho usata avendo più a cuore il  narcistico desiderio di vedere riconosciuta la giustezza della mia analisi (vedete che avevo ragione? Frase impronunciabile, inelegante, retropensiero incontenibile) piuttosto che quello di vedere le cose andar bene, meglio di come si temeva.

E allora dico e mi dico: no, questa volta lo spero davvero, faccio uno sforzo e privilegio l’aspettativa ottimista, la bontà tonta. Spero che Napoli abbia un buon sindaco, che sia non solo onesto (siamo tutti bravi ad esserlo: basta non fare nulla), ma soprattutto capace. Che sia più bravo a fare che a dichiarare. Che sappia essere umile più che narciso. Che parli poco e agisca molto. Che trovi soluzioni e non nemici. Che sappia coltivare la pazienza del riparare più del furore dello scassare. Lo spero davvero.

Vedi anche:

Epilogo

Finisce oggi il frizzante capitolo elettorale di questo paese di santi navigatori e candidati. E finisce, da queste pagine, con un manifesto elettorale che mi sono a bella posta tenuto conservato per l’occasione. Trattasi di un irsuto candidato napoletano che sosteneva Lettieri, dal cognome fortemente evocativo. Speravo in cuor mio che avrebbe avuto significative risonanze simboliche. E così è stato. Arrivederci e forza Italia.

Addio (manifesto elettorale del candidato Gennaro Addio)

Vedi anche:

Grazie un piffero

A Napoli, quartiere Chiaia- San Ferdinando, per ringraziare i generosi elettori che hanno riconfermato alla municipalità la maggioranza di centrodestra, Gianni Lettieri, candidato sindaco, e Fabio Chiosi, presidente della suddetta municipalità, hanno trovato una strepitosa modalità. La potete vedere sotto, in varie forme. E’ una potente metafora dei concetti di rispetto della legalità, salvaguardia del decoro urbano, attenzione della classe politica ai bisogni dei cittadini. E soprattutto, da parte del Partito dell’Amore, la manifestazione di un amore pànico per la città ed il quartiere che li ha premiati. Vogliono ringraziarlo, questo quartiere, e per farlo avvolgono in un abbraccio avvolgente fatto di carta colla e passione ogni centimetro quadrato libero del paesaggio urbano. Mi piace pensare di avere scampato un pericolo. Avessi incontrato gli attacchini di Lettieri e Chiosi mentre lavoravano così alacremente di secchio e spazzolone, non dubito che avrebbero ringraziato (immeritatamente) anche me, affiggendomi il loro manifesto addosso.

Manifesto di "Ringraziamento" del PDL attaccato su un lampione a Via Santa Lucia, Napoli

Manifesto di "Ringraziamento" del PDL attaccato su un lampione a Via Santa Lucia, Napoli

Manifesto di "Ringraziamento" del PDL attaccato su un lampione a Via Santa Lucia, Napoli

Manifesti di "Ringraziamento" del PDL attaccati su una saracinesca di negozio a Via Santa Lucia, Napoli

Manifesti di "Ringraziamento" del PDL attaccati su una grande affissione comunale a Via Santa Lucia, Napoli


Manifesti di "Ringraziamento" del PDL attaccati su campane della raccolta differenziata a Via Santa Lucia, Napoli


Manifesti di "Ringraziamento" del PDL attaccati su una grande affissione comunale a Via Santa Lucia, Napoli

Manifesti di "Ringraziamento" del PDL attaccati su una grande affissione comunale a Via Santa Lucia, Napoli

Manifesti di "Ringraziamento" del PDL attaccati su una saracinesca di negozio a Via Santa Lucia, Napoli

Vedi anche:

Dualismi

Millenarie sapienze, tanto in oriente quanto in occidente, ci rivelano che la realtà è in gran parte costituita da opposizioni, antitesi, entità alternative. Che la diade dialettica arrivi ad una sintesi che le riconcili o che lo yin e lo yang trasmigrino e trasfigurino incessantemente l’uno nell’altro, nell’eterno ciclo cosmico, il concetto resta sostanzialmente quello, da Platone a Lao Tse.

due manifesti allineati, uno del candidato Marco Mansueto (pdl), l'altro del candidato Salvatore Guerriero (PD)

E alla perenne ruota karmica non è sfuggita la nostra campagna elettorale, complice il caso o una volontà forse superiore e benigna, forse prosaica e beffarda. Fatto sta che l’accoppiamento murale dei due candidati che vedete nella foto, sembra essere una pur minima eco della Legge Universale di cui sopra. Un candidato Mansueto ed un candidato Guerriero, appaiati e distinti. Polarità contrapposte, come del resto gli schieramenti cui appartengono.

Certo, fa riflettere il fatto che il politico berlusconiano sia Mansueto e quello del PD Guerriero. Ma è facile trovare il senso superiore di questa decisione del fato. Potrebbe essere altro che mansueto un esponente del Partito dell’Amore? Mansueto come il fedele ovino, pronto a seguire il Gran Pastore delle Libertà in ogni sua scelta. E, d’altra parte, come negare la bellicosa energia virile di un partito guidato da Rosy Bindi, che sostiene l’intervento militare in contrapposizione ai perplessi mansueti amici del Rais di Tripoli, e denso al suo interno di esponenti pronti alla pugna per far prevalere il proprio punto di vista?

Come vedete, ogni cosa ha il suo perché.

Vedi anche:

Inclinazioni

Una evidente tendenza della comunicazione elettorale sui manifesti che si vedono a Napoli è quella che potremmo definire posturale. I candidati, non paghi di farsi fotografare con improbabili facce, in improbabili abbigliamenti con espressioni improbabilissime, si vedono spesso obliqui, inclinati verso un lato della cornice, come vedrete tra poco.

Misteriose le motivazioni di questo fenomeno bizzarro. Possiamo solo fare delle ipotesi sulle cause possibili. Ne facciamo tre:

  1. Diffusione dell’alcolismo nella categoria dei fotografi, che in stato di ebbrezza hanno scarso controllo sull’inquadratura;
  2. Diffusione dell’alcolismo nella categoria dei candidati (eccesso di libagioni in cene elettorali), con conseguenti problemi di equilibrio;
  3. Una deliberata, sapiente strategia di comunicazione volta ad indicare quasi subliminalmente quali siano le reali tendenze politiche del candidato, magari in contraddizione col partito nel quale si presenta.

Diamo provvisoriamente per buona -per democrazia cristiana, direbbe totò- la terza ipotesi. E passiamo in rassegna gli obliqui del primo gruppo:

Abbiamo qui un candidato di destra, anzi de La Destra, che tende invece molto a sinistra. Così come il candidato sindaco del terzo polo, centrale per antonomasia.

il candidato manna, pendente di una trentina di gradi verso sinistra il candidato del terzo polo pasquino, incline a sinistra

Ed eccoci invece alla tendenza contrapposta: altri due candidati di centro che però inclinano a destra. Il primo sembra quasi volere schivare il simbolo che gl’incombe sulla testa. Il secondo invece sembra voler correre via da un’ombra misteriosa che lo tallona (ipotizziamo possa essere il coiffeur per un ultimo ritocco alla cotonatura).

il candidato sangiovanni, inclinato a destra il candidato Ranavolo, di fli, tendente a destra

Ecco infine due varianti particolari e speculari nel gioco di angolature e diagonali. In comune hanno il fatto di ricordare quei cagnolini dalla testolina basculante che negli anni 70 si usavano mettere sul retro delle automobili. Qui l’espressività è più contenuta ma non meno efficace. In particolare, il secondo, del PD, sembra esprimere una drammatica tensione. Forse si trova sul ponte di una nave nel mezzo della tempesta e cerca di mantenersi all’impiedi. La mano che afferra la balaustra ha un aspetto polipoide, piuttosto inquietante. L’uomo potrebbe da un momento all’altro trasformarsi in un mostro marino, magari nel cattivo dei Pirati dei Caraibi. Un monito per coloro che giudicano troppo tiepida la politica del partito di Bersani.

il candidato farina di fli, dal collo reclinato verso destra il candidato esposito, del pd, in una strana postura obliqua, si regge con una mano al bordo della scritta

manifesto elettorale del candidato parrella, con numerose scritte policrome 'sostienimi'

Ma, colpo di scena, un ulteriore reperto ci costringe all’ultimo momento a modificare la nostra ipotesi iniziale.

Quest’uomo chiede soccorso. Non si fa fotografare perché probabilmente sta per rovinare al suolo, e lo farà se non ci precipitiamo a sostenerlo. L’alcolismo dunque, piaga dei nostri tempi, è all’origine di tutto. E’ necessaria una drastica purificazione della nostra corrotta società, vittima del vizio.

…………………

Vedi anche: