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Flaiano e la libertà

Ricopio qui, per la pazienza di coloro che vorranno leggerselo tutto (è piuttosto lungo) l’articolo di Ennio Flaiano che ho letto durante la manifestazione di cui parlavo qui. Ci vuole un po’ di pazienza, ma ne vale la pena.

Ennio FlaianoSignor Direttore, collaborando al Suo giornale con queste note di diario mi sono fatto una piccola e riprovevole fama di uomo forse intelligente ma arido. La verità è il contrario: sono certamente un cretino, ma umido. Debbo infatti ammettere che credo ancora nelle idee che mi sono state inculcate da ragazzo, sui banchi della scuola, e non saprei non dico tradirle, ma nemmeno immaginare altre che le sostituissero: segno quindi che sono inadatto ai tempi, i quali richiedono versatilità e immaginazione.  Io credo, per esempio, nella Libertà e di questo vorrei parlarle. Uno dei momenti più felici della mia disordinata giovinezza fu quando lessi questa semplice frase, che mi spiegava tutto il mio amore: “La Storia è storia della lotta per la libertà”. Quest’amore per la parola Libertà non sopportava aggettivi né associazioni: io non volevo una libertà sorvegliata, difesa, personale, intellettuale; né gradivo che le si accoppiassero concetti, altrettanto nobili, come Giustizia e Democrazia, parendomi che la libertà li contenesse tutti, anzi li proteggesse. Quest’amore per la libertà è l’unico errore giovanile che io non rifiuto e che condiziona tutti i miei errori di oggi. Ma poiché questi errori mi aiutano a vivere, mi rendono anzi la vita sopportabile, io li difendo. Ora che le ho fatto il quadro abbastanza desolato povero della mia filosofia, siamo maturi per giudicarla. Purtroppo, dovremo prendere le cose un po’ alla larga Read more »

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Una multiforme temperie di sentimenti

Johnny DorelliVogliamo parlare del Festival di Sanremo?

E sia. Parliamone.

Tanto, il vostro titolare deve riprendere un po’ la mano dopo la latitanza (e la paranza) di questi giorni. Quindi meglio soffermarsi su una cosuccia leggera su cui ognuno è legittimato a dire la sua corbelleria.
Quest’anno ho visto tutte le serate, ritualmente, con antichi sodali, sfidando l’insonnia ed altre malattie psicosomatiche. Pertanto, alla vigilia del finalone, posso ben esprimere qualche concetto a ruota libera. Anzi, farò di meglio. Poichè il Festival ha prodotto in me una serie di contrastanti stati d’animo, cercherò di riassumerveli, specificandone le cause. Ecco dunque

Alcuni motivi di depressione causatimi dal Festival di Sanremo:

  • Vedere Gigi D’Alessio cantare Con il nastro rosa di Battisti è stata una delle esperienze più deprimenti, imbarazzanti, irritanti che abbia mai avuto nella mia vita di ascoltatore/spettatore. E’ paragonabile solo a quella di vedere il suddetto D’Alessio essere superospite a Sanremo, e cantare per oltre un quarto d’ora. E a quella di constatare il fatto che il suddetto sia un idolo delle folle anche oltre il perimetro del quartiere Mercato-Pendino di Napoli. E, in fondo, a quella di constatare che esista Gigi D’Alessio. E’ una sensazione che condivido con la totalità dei miei amici napoletani. Mi domando spesso se il fatto di vivere a Napoli e non appartenere alla fascia socioculturale dei suoi fans non comporti un pregiudizio negativo ingiustificato. Chissà. Il discorso meriterebbe approfondimenti, ma è meglio lasciar perdere. Primo, perchè questo vuol’essere un post leggero. Secondo, perchè se lo faccio e si viene a sapere nel quartiere dove vivo, come minimo mi gambizzano. Concludo con una citazione dell’ottimo Ernesto Assante:

    Se esiste un dio della musica D’Alessio e Lara Fabian dopo questa esibizione si sono guadagnati l’inferno

  • La vittoria nella categoria dei giovani di Fabrizio Moro. E il premio della critica. E il tormentone giornalistico sull’ “impegno civile”, sul “coraggio”, sul “Sanremo di sinistra” e via dicendo. Ma siamo impazziti? Ma l’avete sentita quella canzone? Avete provato a leggere il testo? Avete visto il video sul maxischermo, coi faccioni di Lennon, Madre Teresa, Martin Luther King eccetera? La sagra dell’ovvietà buonistica. La parodia del Jovanotti più insopportabile. Il testo ricorda Elio quando sfotte Lorenzo ne “La visione della figa da vicino”. Solo che questo fa sul serio. E la musica. Una brutta copia dell’unica e costantemente riciclata canzone degli Zero Assoluto, che già un capolavoro non è.
    Eppure, tutti a dire che bravo che bello, che impegno, evviva Borsellino, abbasso i cattivi, le canzonette possono cambiare il mondo, bravo Baudo che hai portato a sanremo la società civile…. Basta. Meglio fermarsi qui. Che terra dei cachi, questa.

Alcuni motivi di allegria causatimi dal Festival di Sanremo:

  • Semplicemente, il fatto che le autentiche schifezze sono state pochissime (Al Bano, Mazzocchetti e poco più, e comunque ad un livello meno intollerabile di altre edizioni), e che ho ascoltato molte canzoni dignitose (MangoCristicchi, Velvet, Concato) alcune più che dignitose (Tosca, Nada, Silvestri) e almeno un paio decisamente belle, quelle di cui parlerò tra poco. E per i giovani, vale lo stesso discorso. Purtoppo quelli che secondo me erano i migliori sono stati eliminati subito (FSC e Pier Cortese, davvero molto bravi), e ha vinto quel che sapete. Ma in generale, ricordando certi obbrobri passati, c’è di che consolarsi.
  • Elisa. La più bella voce e tra le migliori autrici che abbiamo oggi in Italia. Nulla da aggiungere.
  • Le canzoni di Amalia Grè e Johnny Dorelli. Le più belle, le mie favorite, quelle che non vinceranno. La Grè, che non mi ha mai particolarmente entusiasmato per quel suo piglio ostentatamente “ricercato”, che sottende la puzza al naso e il complesso di superiorità del jazzista -che ne potete sapere voi poveri canzonettari- ha tirato fuori un piccolo capolavoro, dal sapore allo stesso tempo classico e ricercato. Mi ha ricordato un  po’ -paradossalmente, vista l’abissale differenza di timbro vocale- certe cose di Nina Simone: quel sapore malinconico e un po’ agro, oscuro e arioso allo stesso tempo…. Brava.
    Ma è Johnny quello che mi riscalda il cuore. Io non sono giudice imparziale. Alla mia età, e con le mie precoci frequentazioni televisive, Dorelli non è uno qualsiasi. E’ uno di famiglia. Arriva dopo anni di assenza uno che somiglia ad un vecchio orsacchiotto ritrovato in un cassetto, che pensavi di aver perso in chissà quale trasloco, e ritrovi tutto il valore delle parole classe, professionalità, stile, arte. Dorelli canta, Calabrese e Ferrio scrivono la canzone. Sembra di essere tornati indietro di trent’anni almeno, ma lo stupore è tutto di oggi. Canzone quasi perfetta, un piccolo gioiello senza tempo. Come per Arigliano, ci si rende conto ogni tanto che il sentimentalismo della memoria spesso ha una sua ragion d’essere.

Un motivo di grandissima allegria causatomi dal Festival di Sanremo:

  • Stefano Bollani che prima e dopo avere accompagnato (splendidamente) Dorelli nel duetto della terza serata ne ha fatto un’imitazione perfetta ed esilarante. Da sola meritava una standing ovation.

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Er clebbino de noantri

Domenica, alla trasmissione Parla con me, Serena Dandini intervista Dario Fo (qui il video completo).

Dandini: Vorrei un parola tua definitiva su un’annosa questione… la domanda tipica che ci si fa sempre: chi ha il cuore a sinistra riesce a fare una satira efficace nei confronti della sinistra?… tu sei il grande maestro di satira di tutti noi….  hai la cattedra di “sberleffo al potere”…

Fo: No. è pericoloso, difficile e pericoloso….  prima di tutto devi andarci coi piedi di piombo, non esagerare nell’entrare a piedi giunti, come si dice, e certe volte ingoiarti delle situazioni, delle battute che ti piacerebbe buttare perchè altrimenti crei un disastro soprattutto nei tuoi compagni, i compagni non ti capiscono, non reggono…..

Questo ho sentito, e non credevo alle mie orecchie. Con candore ammirevole, il vate della satira, l’alfiere della fustigazione di ogni potere (e maestro di tutte le insopportabili retoriche relative all’argomento), il Nobel più antagonista che ci sia, diceva che la satira si deve frenare, si deve ingoiare le battute perchè se no i compagni si arrabbiano. Perfino la Dandini era stupefatta (ma con l’abituale nonchalanche da compagna di mondo, non lo dava a vedere).
Ripensandoci però, c’è poco da stupirsi. E’ atteggiamento del tutto coerente con la storia dell’uomo. Prima di tutto i Compagni, il Partito, la Causa. Il potere va attaccato se il potere sono gli altri, quelli che ti stanno antipatici, i cattivi, i ricchi, i rozzi, i Re, gli sbirri, i capitalisti. Se sono i Compagni, i buoni, il Partito, gl’intelligenti, gli operai i contadini e gli studenti uniti nella lotta, magari finanche un dittatore, purché sia compagno e barbuto, allora zitti.
Mina e Dario FoA me -lo dico davvero, senza ironia- Dario Fo sta simpaticissimo. Fin da quando ero piccolo, e nella RAI appena riformata, lui tornava dopo l’esilio e faceva i suoi spettacoli in prima serata. Non mi perdevo una puntata. E’ un attore geniale, un uomo di cultura, un artista e una persona che difficilmente può suscitare antipatia, col suo faccione sorridente. E questo è un guaio. Perchè a nessuno va di dirgli cose antipatiche, tipo hai detto una gran cazzata, dici fesserie e assumi posizioni sbagliate, pericolose e perdenti da quarant’anni. Per antonomasia sei l’antipotere, l’anticonformista, l’antiretorico ma in realtà sei l’artefice dei peggiori luoghi comuni retorici di sinistra. Tipo quello dell’artista scomodo. Del martirologio narcisista dei nemici del potere che stanno sempre in tv, riempiono i teatri, i giornali, i libri, e quando si assentano per un po’ dallo schermo pare che sia arrivata la dittatura. E degli insopportabili tormentoni su se stesso: tipo quella del giullare che disturba il potere con lo sghignazzo. Ecco, ci sono delle parole che andrebbero abolite dal vocabolario non in generale, ma soggettivamente. Se si riuscisse a non far pronunciare più le parole giullare, re, potere, satira e sghignazzo a Dario Fo, sarebbe un bel progresso.
Ma lo si deve pur comprendere, Fo. Ha ottant’anni. Certe categorie di ragionamento non le rinnova da un bel po’ e non ci si può aspettare che le cambi ora.

Il problema sono gli altri, siamo noi.

Parliamo un po’ della Dandini, ad esempio. Read more »

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Peppone vs. Armstrong

Giovanni GuareschiHo ricevuto una torrenziale email dagli organizzatori del Meeting delle Etichette Indipendenti (MEI), che riporta il programma dettagliato di questa manifestazione che ero uso frequentare un’era geologica fa, quando si svolgeva a Firenze ed io ci andavo a suonare con i Panoramics. Il programma è interessante e ricco di eventi. Ma non è di questo che intendo parlare qui.
Nel programma, c’è un passaggio che mi ha colpito, e sul quale credo valga la pena di fare qualche riflessione. E’ il seguente:

“L’apertura del MEI 2006 sarà dedicata ai 100 anni della nascita di Secondo Casadei, lo Strauss di Romagna, che sarà ricordato ed attualizzato attraverso un grande convegno per ricordare la sua  figura antelitteram di no-global della musica e di “uomo che sconfisse il boogie-woogie” , cioè la prima avanzata dei suoni globali degli States con la rinascita della musica tradizionale romagnola.”

Ora, partiamo un po’ dal principio. Non conosco Secondo Casadei nè la sua storia (immagino che sia il capostipite della stirpe di Raul). Ma già mi fa pensare l’espressione “lo Strauss di Romagna”. Strauss. Un Crucco. Questo Casadei mi puzza di austriacante, anche se poi fa tanto il patriota…. E poi, che cosa è questa musica tradizionale? Polka, Mazurka, Valzer, Tango…. Uhm… Polonia, Ungheria, Austria, Argentina….. Questi sono suoni antitaliani!!! Qui si rischia di imbastardire la purezza delle nostre tradizioni!!! Fossi stato, all’epoca, un prefetto, lo avrei messo sotto controllo, questo tipo. Ma lasciamo perdere. Andiamo avanti. Pare che comunque abbia sconfitto il boogie-woogie, l’invasione barbara dei ritmi negroidi provenienti dalla grande demoplutocrazia giudaica. Bravo! E siccome fare qualcosa contro il Satana americano è qualcosa che rende migliori, lo proclamiamo combattente antelitteram delle battaglie No-Global. Ecco.
Secondo CasadeiMa a questo punto mi si confondono un po’ le idee. Il Camerata Casadei era in realtà un Compagno? L’origine romagnola, storicamente, ammette la compresenza di entrambe le possibilità. Le confusioni ideologiche dei giovani d’oggi, anche se loro non se ne rendono conto, purtroppo, pure.
Facciamo i seri, adesso.
Uno dei concetti, innegabili e banalissimi, ripetuti fino alla noia dalla critica musicale “progressista” -o semplicemente intelligente-, nell’affrontare l’evoluzione della musica leggera in Italia, è stato il fatto che gli innovatori (cioè quelli “buoni”, gli intelligenti, i talentuosi) sono sempre stati quelli che hanno recepito e fatta propria, quand’anche in maniera personale, l’influenza delle nuove musiche “di fuori”, come il Jazz, il Blues, il Rock, la canzone francese, il pop britannico, affrancandosi dalle stantie formule tradizionali. Questo hanno fatto tra tanti altri De Angelis, Otto, Kramer e Barzizza prima della guerra, e dopo Buscaglione, Carosone, Modugno, i cantautori genovesi, fino a Battisti e chiunque altro dopo di lui.
Noi, quelli buoni, quelli de sinistra, abbiamo sempre detto che è fondamentale aprirsi, contaminarsi, mescolare le culture. E mi pare un concetto valido, ieri come oggi, così come d’altro quello di valorizzare le proprie radici e le tradizioni culturali dei propri luoghi d’origine.
Oggi però alcuni sentono il bisogno, per sentirsi più buoni e più trendy, di emendarsi dal sospetto di essere vagamente indulgenti con gli Stati Uniti e con questo terribile mostro: la globalizzazione (anatema! anatema!…), e quindi arrivano a predicare e praticare clamorose cazzate come quella di farsi alfieri dell’autarchia musicale (concetto, in tutta franchezza, fascistoide). Credo che nessuno, a partire dal cento per cento dei musicisti presenti al sopracitato meeting sogni che l’Europa fosse rimasta incontaminata dai “suoni globali degli states”. Immaginatevelo: una musica fatta solo di tarantelle mazurche e melodramma, se ci andava bene di ‘O sole mio e Mamma. Un incubo parallelo a quello immaginato da Dick ne La svastica sul sole. Però, pensandoci bene…. se non altro, se vincevano i Tedeschi, gli americani non rompevano le palle…. Forse anche Hitler, sotto sotto, era un no global. E certamente amava i valzerini e le mazurche.

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Lei ci crede

La politica non dovrebbe essere tra i principali interessi di questo blog, almeno nelle intenzioni. Tuttavia, mi sono reso conto che ultimamente -forse per l’attualità elettorale- questo argomento sta prendendo sempre più spazio. E allora, tanto per confermare questa tendenza, mi sento adesso di fare un paio di riflessioni – da semplice cittadino – su un argomento particolare: le elezioni comunali a Napoli.
Rosa Russo IervolinoIn questa città, da cinque anni governa una giunta di centrosinistra guidata da Rosa Russo Iervolino. Questi cinque anni, nella mia percezione e in quella della quasi totalità delle persone che conosco (quasi tutti elettori di centrosinistra) sono stati pessimi. Il degrado della qualità della vita (nei banali termini della sicurezza, del traffico, dei rifiuti, del funzionamento dei servizi pubblici in genere) e la stagnazione sociale ed economica sono realtà evidenti a chiunque. La classe politica -una delle peggiori in assoluto nel paese- sembra interessata prevalentemente a gestire e spartire le proprie piccole giurisdizioni di micro o macropoteri, clientele, ed “equilibri”. Questa non è l’analisi di un esperto o un politologo. E’, ripeto, una sensazione, un sentimento. Forse sarà del tutto sbagliato, magari è cominciato un nuovo Rinascimento Napoletano, e non ce ne siamo accorti. Ma foss’anche così, sarebbe comunque un problema, se non altro di comunicazione.
Che invece la sensazione fosse realistica, lo aveva dimostrato il fatto che, al momento di definire le candidature in campo, la stessa Iervolino aveva deciso saggiamente di non ripresentarsi. Era lapalissiano che fosse -appunto- impresentabile.
Poi, dovendo scegliere un nuovo candidato, è probabile che l’oligarchia politica Demitian-Bassoliniana con contorno di frattaglie non sia riuscita a trovare un compromesso che salvaguardasse… il futuro della città? Un progetto politico di ampio respiro riformatore? Al limite, ammettiamo anche, il semplice mantenimento della maggioranza?… Read more »

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Poi dice che uno si butta…

Francesco CarusoHo riflettuto sul fatto che con il mio voto potrei contribuire ad eleggere deputato quest’uomo….

Clemente Mastella…. ed anche questo.

Poi, ho pensato a questi:
roberto CalderoliRoberto CastelliCarlo GiovanardiSilvio Berlusconi

e, repressi insieme un lieve disturbo gastrico e l’idea di non andare a votare, ho deciso che voterò. Che bello, vivere in Italia.

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