8 febbraio 2007 by Marco
Chi ci ricorda / 5 bis
Questo post è un’integrazione all’ultimo chiciricorda (già piuttosto vecchio). Dunque, se il gentile navigatore desidera un’informazione completa, è pregato, laddove non l’abbia già fatto, di leggere / ascoltare la necessaria premessa.
Detto questo, veniamo al dunque. La mia amica L., che si appresta a celebrare i suoi quarant’anni con una grande festa danzante, mi ha pregato di confezionarle una compilation per la bisogna, all’insegna della disco ‘70-’80. Cosa che ho scrupolosamente fatto, attingendo ad un repertorio che, come molti, aborrivo da adolescente ed oggi mi procura brividi di godimento proibito. Immergendo le mani dentro questo ribollente calderone, tra una palla di specchietti rifrangenti, un flacone di paillettes, alcune giacche bianche e un tubo di Tenax, ho (ri)trovato tra gli altri reperti canori un paio di favolosi pezzi che hanno in comune il periodo, il riff telegrafico di cui sopra (per il sopra, vedi sopra) e le interpreti, due figure gloriose della mitologia camp, due icone gay, due personaggi ‘oltre’: Raffaella Carrà e Gloria Gaynor.
E ho detto tutto, direbbe Peppino. Chi ci ricorda, e chi le ricorda? Tra i miei coetanei, tutti, credo. I più giovani, senz’altro riconosceranno la canzone che ha rilanciato nelle charts qualche anno fa Geri Halliwell (però vuoi mettere con Gloria?). Ma la vera perla è Rumore. Un pezzo che, detto senza ironia, a risentirlo adesso, non è affatto male, anzi, ha un tiro da fare invidia. E tutt’e due telegrafano, telegrafano…..
E un telegrafo scrupoloso – a post già scritto – mi ha fatto rendere conto del fatto che in realtà It’s raining men non era cantato da Gloria, ma da un gruppo che si chiama The Weather Girls. Che volete, sulla rete circolano un sacco di files approssimativi (oops! l’ho detto!…) e così apocrifi di ogni tipo traggono in inganno il pover’uomo non espertissimo (io forse sono un po’ esperto d’altro, ma non sono certo un filologo della disco). Comunque tutto ciò non sposta di molto quanto ho scritto, e faccio ammenda mettendoci una foto anche delle due grassone. Ecco.
Camp telegram
- Raffaella Carrà: Rumore (1974)
- The Weather Girls: It’s raining men (1983)
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Tags: anni '70, anni '80, canzoni, gay, musica, raffaella carrà, somiglianze, trash
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18 novembre 2006 by Marco


Questi due signori – l’ho scoperto ora – hanno lo stesso cognome. Uno fa lo scrittore, e lo fa anche piuttosto bene. L’altro faceva altrettanto bene l’attore, ed è morto qualche giorno fa. Lo conoscevamo con un altro nome.
Non sembra anche a voi che si somiglino parecchio?
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8 novembre 2006 by Marco
Negli ultimi tempi, mi è capitato di vedere o rivedere in tv un paio di film di Clint Eastwood, a mio parere uno dei migliori registi viventi. Mentre guardavo Mystic river, ho avuto una piccola intuizione, che si è precisata qualche giorno dopo con Debito di sangue. Una sensazione analogica. Questa: Eastwood condivide qualcosa, in profondità, con Georges Simenon.
Provo a spiegarmelo, a dipanare il filo di questa sensazione.
Entrambi sono narratori dell’asciuttezza. Raccontano da maestri con il minimo indispensabile, l’essenziale. Tutto quello che si vede, è necessario, e non c’è nulla di più. E se, come diceva Gide, nei libri di Simenon “non c’è un etto di grasso letterario”, nei film di Eastwood si segue la stessa dieta ferrea: la storia, i personaggi, i sentimenti sono carne magra e quasi secca, ossa, nessun condimento, nessun compiacimento estetizzante. Solo sostanza, nutrimento che fa diventare adulti.
Quel che rimane, nell’uno e nell’altro, dopo tutto questo sgrassare e scarnificare, brilla di una nitidezza abbacinante e ti rimane nei sensi. L’odore del disinfettante a buon mercato ed il neon della palestra di Million dollar baby ti restano nel naso e negli occhi come la nebbia umida e la luce dei lampioni sulle strade bagnate dei tanti libri di Sim, delle storie di Maigret come di quelle dei romanzi, coi tanti personaggi oscuri, sconfitti, rosi da passioni, da ossessioni che possono spingersi al delitto, da aspirazioni deluse. Proprio come quelli di Clint. Uomini e donne reali, imperfetti, destinati spesso al fallimento nonostante i loro sforzi. Read more »
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16 ottobre 2006 by Marco

Come forse ricordate, ultimamente, mi capita con regolarità sospetta di arrivare all’ultimo momento al cinema e beccarmi gli unici posti rimasti nella prima o seconda fila. Questa circostanza ha creato inopinatamente un nuovo criterio di valutazione critica: la prova cervicale. Difficilmente sbaglia. Questo film qui l’ha brillantemente superata. E’ precisamente quel genere di piccoli film -”indipendenti”- ben fatti, carini, intelligenti e mooolto divertenti. Con bravi attori, una sceneggiatura frizzante e -immagino- quattro soldi di produzione. Vince in qualche festival ed ecco il nuovo regista rivelazione. Che in questo caso sono due, non giovanissimi -marito e moglie?- di quasi cinquant’anni cadauno, con un passato di videomaker musicali -REM in particolare, e forse non è un caso-.
In ogni caso, questo è un film da non perdere. Nonostante qualche inevitabile ingenuità e/o spartanezza (si dirà così?) tipica delle produzioni low cost, è davvero -scusate il termine- delizioso. Una famiglia di sfigati -il padre aspirante guru dell’autoaiuto per vincenti, incapace di aiutare se stesso, il figlio adolescente asociale, nicciano e muto per un fioretto, lo zio mancato suicida, gay, esperto di Proust e vittima di una sfiga colossale, il nonno scorrettissimo, sessuomane e tossico, la madre quasi normale e la figlia, bambina cicciottella aspirante little miss, tenera buffa e adorabile – si mette in viaggio su uno scassato pulmino Wolkswagen con la frizione rotta (che pare il furgone hippy di Cars) per arrivare in California in tempo per la finale del concorso per pretty babies del titolo.
Naturalmente, come ogni buon road movie, ne succedono parecchie, tra cadaveri trafugati, riviste porno, clacson impazziti e via dicendo. Non è il caso di dire di più. Gli attori sono eccellenti, dalla bambina al nonno Alan Arkin, che in questa versione pelata canuta e scorrettissima somiglia impressionantemente a Peppe Servillo. Peccato che nella colonna sonora ci sia solo una canzone di Sufjan Stevens, la splendida Chicago, perfetta e -vi confesserò- il primo motivo che mi ha fatto scattare la curiosità per il film, quando l’ho sentita nel trailer. Le musiche sono oneste e funzionano, ma sentire Sufjan ti fa venire una voglia di continuare ad libitum, soprattutto quando c’è una così stretta affinità tra la musica e le immagini. Ma è poca cosa. Magari al prossimo i registi si potranno permettere di pagare un po di più per le royalties. Speriamo.
Il conto:
Spesi: 7,00 euro
Valore effettivo: 6,00 euro (ma solo per la scarna confezione)
Bilancio: -1,00
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Tags: cinema, somiglianze, sufjan stevens
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5 ottobre 2006 by Marco
Ci sono dei film che hanno una digestione lenta. Quando li vedi non sai bene se ti sono piaciuti oppure no. Poi passano i giorni, il metabolismo emotivo fa il suo corso, ti ritornano in mente immagini, suoni, facce, storie, e ti rendi conto che si, era proprio bello. Sciogli le riserve e ti arriva finalmente nelle vene quel nutrimento lungamente lavorato dai succhi e dagli umori secreti chissà dove nelle visceri cinematografiche.
Nuovomondo appartiene senz’altro a questa categoria. E credo che la lentezza della digestione derivi, in questo caso ma forse in genere, dalla sua alta concentrazione simbolica, fatta più che di parole o di storie, di immagini che attingono a strati profondi della memoria, probabilmente più collettiva che individuale.
E’ un film particolare, ambizioso. Fatto di estremi e di inganni: il “realismo” scabro che lo attraversa, e che soprattutto all’inizio sembra essere la sua cifra, in realtà nasconde – e da un certo punto in poi rivela – il suo contrario: la visionarietà simbolica, il fantastico applicato ai destini delle persone (altra felice contraddizione), la storia che cozza con il delirio. Il vecchio col nuovo, una lingua con l’altra, la voce con il silenzio, il grande con il piccolo.
Mi rendo conto che sto pericolosamente ghezzeggiando, e mi fermo subito. Aggiungo solo poche annotazioni: che vale la pena di vederlo. Che se vi piacciono i film d’azione non fa per voi. Che è il film straniero candidato agli Oscar per l’Italia.
Che gli interpreti sono straordinari, tutti non professionisti, pare, tranne Charlotte Gainsbourg e Vincent Schiavelli (chi è? vi chiederete. Questo signore qui, una faccia “minore” indimenticabile di Hollywood, che è morto subito dopo le riprese). Che un’intervista a Crialese mi ha confortato in un’intuizione che avevo avuto guardando il personaggio del ragazzo muto col cappello. A una domanda precisa dell’intervistatrice, e cioè se fosse ispirato ad Harpo Marx, il regista ha risposto che non lo escludeva, essendo parte del suo immaginario di cinefilo. Io aggiungerei solo che mi sembra un misto tra Harpo e Chico. Quello col cappello a pan di zucchero, l’ebreo tedesco emigrato in America che fingeva di essere italiano.
Il conto:
Spesi: 7,00 euro
Valore effettivo: 7,00 euro
Penalità: 5 euro (al cinema Modernissimo sala 1, tempio sedicente dei cinefili di prima visione, pellicola graffiata, righe verticali a singhiozzo per buona parte della proiezione)
Bilancio (film): +0,00
Bilancio (cinema): -5 , con diffida e imprecazione
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Tags: cinema, emanuele crialese, gainsbourg, marx brothers, somiglianze, USA
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16 marzo 2006 by Marco
Chi ci ricorda / 4
Ho tenuto in standby per qualche giorno questo chi ci ricorda. Aspettavo a pubblicarlo perchè, trattandosi di Genesis, quelli buoni, quelli di Peter Gabriel, ovvero quelli di un secolo fa, mi sembrava il caso di aspettare la conferma o la smentita del recentissimo rumour che parlava di una reunion in grande stile del gruppo, 30 anni dopo la dipartita di Gabriel. Oggi, come sospettavo, è arrivata la smentita. Dunque facciamo finta di niente e ricordiamoci com’erano belli quei dischi, nonostante tutto. Magari attraverso degli epigoni (quelli dignitosi, che quelli pessimi ci hanno afflitto per anni….). Gli Air, per esempio.
Questi giovinotti francesi hanno fatto due o tre dischi molto belli, pieni di umori e sapori degli anni ’70 più discreti ed “ambientali”. Pink Floyd, Gainsbourg, colonne sonore d’epoca, e vario materiale citazionistico, ma con gusto e talento. E, a quanto pare, non potevano mancare i Genesis, nelle loro referenze. Sentire per credere.
Air-Genesis.mp3 (819 Kb)
- Genesis: The fountain of Salmacis, da Nursery cryme (1971)
- Air: Mike Mills, da Talkie Walkie (2004)
- Genesis: Firth of fifth, da Selling England by the pound (1973)
Vedi anche:
Tags: air, canzoni, genesis, musica, peter gabriel, somiglianze
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