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Liberi e belli

Lacca Libera e BellaPrologo.

Anni fa, certamente prima dell’11 settembre 2001, quando i talebani imperversavano in Afghanistan, e si moltiplicavano gli appelli umanitari, di solidarietà soprattutto alle donne umiliate, torturate, uccise, proprio in quel periodo collaboravo con un istituto “culturale”, qui a Napoli. Ogni lunedi ci si riuniva per definire i programmi, gli eventi da organizzare eccetera. Uno di questi lunedi, una ragazza, laureata in sociologia, mi racconta il contenuto della conferenza che avrebbe dovuto tenere lì, dopo un paio di giorni. In sintesi, affermava che, al di là delle superficiali apparenze,  la condizione delle donne afghane era pressoché identica a quella delle donne occidentali. Entrambe vittime, sebbene in forma differente, del potere maschile, dell’oppressione sociale.
Naturalmente
trasecolai, e le chiesi se non si fosse spinta un po’ troppo in là con il paradosso, con la provocazione. Mi rispose sorridendo, con l’aria compiaciuta di chi l’ha fatta grossa ma è sicura di passarla liscia, che no, non c’era nessun paradosso, nessuna provocazione. Lei davvero pensava quello. Mi guardai intorno aspettandomi stupori analoghi al mio. Invece, in quel gruppo di benestanti signore di buona famiglia e di migliori principii progressisti, di giovani e meno giovani volontari pieni di ardore, cultura e idealità, si mormoravano cose tipo “vabbè, magari è un po’ esagerato, ma in fondo… la società dei consumi, ‘sti americani… pure qua stiamo inguaiati, che mondo, che schifo… va sempre peggio…”

Statua della Libertà

Fine del prologo.

Qualche giorno fa ho partecipato, come esponente della comunità degli scriventi, ad una manifestazione organizzata da alcune case editrici contro il ddl Alfano sulle intercettazioni, dedicata alla Libertà d’espressione. Si trattava di Read more »

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In sintesi

RatatouilleIl titolare è contrito, traboccante rimorsi, ha containers di cenere pronta ad essere aspersa sulla sua ormai purtroppo vastissima fronte. Ma è andata così.
Forse mai era stato così latitante. Ma ha avuto qualche scusante. Una delle quali per il momento è riservata. Ma verrà resa palese inorno al 15 dicembre (incrociate le dita se vi va).
Ora -dopo la logora retorica della terza persona, riprendo la prima- ho tutte le intenzioni di ridare un po’ di continuità a questo blog, che tra un paio di mesi peraltro festeggerà il secondo anno di vita. Non che non ci siano, o non ci siano stati in questo periodo pretesti, idee, riflessioni, fatti e cose più o meno interessanti di cui parlare. Ma le energie e il tempo non erano evidentemente abbastanza. Dunque qui si riprende, e si riprende con una serie di pillole cinematografiche, due o tre parole sui film che ho visto nell’ ultimo periodo, giusto per non avere la sensazione della colpevole omissione.
Due giorni a Parigi, esordio alla regia di Julie Delpy è un film non indispensabile, logorroico ed imperfetto, ma non spiacevole da vedere, con momenti di divertimento (benchè si abbia spesso la sensazione di un Woody Allen minore, francese e davvero segaiolo).
La giusta distanza di Mazzacurati è altrettanto non necessario per le vite di ciascuno, non particolarmente nuovo negli ambienti e nei temi, ma ci si spendono volentieri aggettivi consunti come carino e garbato, utili per coloro per i quali tali aggettivi  bastano per spendere i soldi di un biglietto. Per alcuni altri, o anche per gli stessi, potrebbe essere sufficiente la folgorante bellezza della protagonista.
Die Hard -ebbene sì-, visto in compiaciuta ed un po’ snob compagnia virile in pieno trend antiintellettuale -e quindi più che mai intellettuale, purtroppo- mantiene fin troppo ciò che promette. Si esce dalla sala sghignazzanti, commentando la quantità abbondantissima di cliché divertenti perché spudorati e quella ridottissima delle espressioni del protagonista e segretamente vogliosi di silenzi antonioniani, di camere fisse, dei monacali cineforum della nostra adolescenza.
Bruno Ganz - Un’altra giovinezzaIl film di Coppola, Un’altra giovinezza, meriterebbe una trattazione ben più estesa di queste quattro righe. Va visto da tutti coloro che amano Coppola ed il cinema in genere, e, massì, la letteratura, e Borges in particolare. Non perchè sia chissà quale capolavoro. Imperfetto, spesso implausibile, per qualcuno addirittura irritante, conserva però una magia ed una capacità di evocazione visiva che solo Coppola avrebbe potuto realizzare così (è probabile che chiunque altro, a partire dallo stesso materiale, avrebbe prodotto un’indigeribile schifezza). Mi è sembrato di scorgerci, oltre a Borges a camionate, anche citazioni, meno esplicite, di Kubrick. Coppola, Borges, Kubrick. Nella mia giovinezza, ma forse anche adesso, questi tre nomi rappresentavano una intoccabile trinità laica. Non potevo non vederlo, e, vistolo, non parlarne.
Che dire di Ratatouille? Se leggete i post precedenti relativi ai film d’animazione d’eccellenza, che amo alla follia, capirete già dove vado a parare. Splendido, intelligente, godibile, persino abbondante (in termini di lunghezza, cosa rara e faticosa, per chi lo realizza). Morale solo apparentemente banale: bisogna accettare ciò che si è. Ovvero, se sei topo, non puoi cambiarti in colombella. Ma se essendo topo sei igienista e buongustaio, e proustiano alchimista di sapori e sensazioni, devi accettare anche questo e lottare per la tua anomalia.
Across the universe, last (e se non è least, quasi), è il terzo, ma trionfatore sugli altri, della categoria degli innecessari. Innecessario fino a sfiorare l’inutilità. Quasi molesto per un Beatle fan come me. Se si glissa sulla storia scema e banale, sulla forzata ambientazione storico-sociologica-giovanilistica altrettanto convenzionale ed inoffensiva e ci si sofferma sulle canzoni -dignitosamente arrangiate ed interpretate- e su alcune idee visive non male, si può vedere. A patto, una volta ritornati a casa, di rivedersi immediatamente Yellow Submarine per ricordarsi cosa fosse davvero la creatività e la visionarietà innocente ed intelligente dei Beatles e del loro tempo. Roba rara al giorno d’oggi, signora mia.

PS: dopo aver pubblicato il post, mi sono reso conto di avere freudianamente rimosso (non a caso) un film visto recentemente: Tideland di Terry Gilliam. L’aggettivo delirante in questo caso si applica nella sua pienezza. E’ un vero delirio “d’autore”, una pippa pirotecnica, spesso sgradevole (mai però come Paura e disgusto a Las Vegas), talora con belle immagini. Ma si esce dal cinema scuotendo la testa all’unisono. Questo Gilliam qua, che era stato in qualche modo il maestro di Tim Burton, ora ne sembra il surrogato andato a male. Ma molto. Quasi tossico (parola pertinente al contenuto del film, peraltro).

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Camera oscura

Blow-upBergman Antonioni sono morti a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Il povero Michel Serrault, anch’egli dipartito in questi giorni, è stato un piccolo vaso di coccio tra due colossali anfore di bronzo, in quanto ad attenzione dei media.
A rischio di accodarmi ai necrologi di circostanza, vorrei spendere qui due parole per l’occasione. Di Bergman confesserò di poter dire davvero poco. Ognuno ha le sue lacune. Io ad esempio, non ho (ancora) letto Proust. E non ho praticamente mai visto un film di Bergman. Ma ho intenzione di colmare la lacuna, con tempo e pazienza. E mi fido degli esperti e degli amici. Come questo.
Ma su Antonioni voglio, devo dire qualcosa. Ognuno, credo, ha la sua piccola lista di film (e di libri, di canzoni, di dischi) che gli hanno cambiato la vita. Quelle esperienze che si fanno in adolescenza e che segnano definitivamente il tuo modo di guardare il mondo, di sognarlo, di esprimerlo. Per me, uno di quei film, visto quasi immediatamente dopo 2001 (che è il primo della lista), è senz’altro Blow Up. Ricordo perfettamente quella scassatissima e microscopica sala (“Cinema Italnapoli”), specializzata in rock movies, recuperi di terza visione e “cinema d’essai” dalla quale uscii stupefatto e stravolto, alla fine della partita di tennis senza palla. Analogamente al film di Kubrick, questa esperienza obliqua, onirica,  misteriosa, piena di silenzi, di suoni e di immagini memorabili, totalmente immersa nel periodo ed allo stesso tempo astratta, atemporale, mi aveva aperto una porta della testa. Anni dopo, avrei scoperto che la storia era ispirata ad un racconto di Cortázar (quello che ha regalato il nome a questo blog, uno scrittore che amo incondizionatamente). E tutto mi sembrava tornare, in una corrispondenza sincronistica. A differenza di Kubrick, Antonioni non ha sempre sfornato film folgoranti come quello, e i suoi limiti, oggi, sono facili da individuare. Ma film come Professione Reporter e probabilmente altri (che neppure ho visto, e che oggi ho più desiderio di vedere), restano per me delle piccole zone di luce, diamanti muti e risplendenti che servono ad indicarti la strada quando fa buio, quando non sai dove andare. Il bello è che le strade che ti indicano non sai dove ti portano, sono sghembe, tortuose, innecessarie, e ti sembra di essere più confuso di prima. Ma emozionato e vivo.

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The Black Dahlia

Scarlett JohanssonRaccontiamo le cose dal principio. Da molto tempo volevo leggere Ellroy, di cui ho sempre sentito un gran bene, e volevo cominciare proprio con La Dalia Nera. Saputo che Brian De Palma ne aveva tratto un film, ho deciso di seguire rigorosamente un precetto che non avevo mai realmente rispettato: prima leggere il libro, poi vedere il film. E così ho fatto. Sono andato in libreria per acquistare -povero ingenuo- l’edizione degli Oscar Mondadori, la più diffusa, economica ed invitante. La cerco, non la trovo, e scopro che è stata messa fuori catalogo e ripubblicata in edizione hardcover, con inevitabile fascetta che parla del film, ed al prezzo di 18 euro e 60 (sconto del 10%, bontà loro, alla Feltrinelli). Bestemmio sottovoce, lo compro. Lo leggo in pochissimo tempo. Bello. All’altezza delle aspettative. Corposo, in quantità di pagine e di strati narrativi, temi, storie che si dipanano. Alla fine, mi sono detto che trarne un film di un paio d’ore, accettabilmente fedele, deve essere molto difficile, senza banalizzare e/o massacrare col machete il lavoro dello scrittore.
Vado quindi a cinema con dubbi (i sopracitati, e le prime deluse recensioni da Venezia) e speranze (De Palma, ed il fatto che Ellroy in persona abbia dato il suo placet all’operazione).
Esco dal cinema con un senso di delusione molto prossimo all’irritazione.
Elizabeth ShortNon è certamente il film che mi auguravo, e che avrebbe potuto essere. E’ un’operazione che fa rimanere, del libro, solo la superfice, patinata finchè si vuole, elegante, molto spesso inutile. La superfice della storia, mutilata arbitrariamente, spesso reinventata di sana pianta senza motivo. La superfice dei personaggi, che sulla pagina hanno ben altre luci ed ombre. La superfice dei temi e delle ossessioni che sono il nerbo della narrazione di Ellroy: Il male, l’ineluttabilità della sua presenza in ciascuno, soprattutto nei “buoni”, le relazioni ossessive, le luci di Hollywood e le sue zone oscure come metafora globale, l’America priva di innocenza ed allo stesso tempo madre impossibile da odiare. Tutto ciò scompare senza quasi lasciare traccia in un film che forse gratificherà qualche onanista cinefilo per le sue citazioni, la fotografia, i movimenti di macchina. Per carità, niente da dire. De Palma è De Palma. Però questo film andava fatto, se proprio andava fatto, da qualcun’altro. L’unico che riesco a immaginare vincente in questa sfida improba avrebbe potuto essere Kubrick. Ma questo è solo un sogno. E ho notato una cosa, che mi ha fatto pensare che forse non è un caso l’averlo sognato. Il produttore di questo film è James B. Harris, che è stato, appunto, il socio e produttore dei primi film di Kubrick, quelli americani: Il bacio dell’assassino, Rapina a mano armata, Orizzonti di gloria, Lolita. E’ anziano, non produceva film da anni. Il fatto di coinvolgerlo in quest’operazione rivela forse un’intenzione. Fallita, purtroppo.
Ultima nota per gli attori. Mi sono sembrati omogenei all’insieme, cioè alla sua immemorabilità. Ho sciolto i miei dubbi su Scarlett Johansson. O meglio, li ho confermati: come attrice mi sembra assai mediocre, come sex symbol le preferisco Elena Sofia Ricci (non scherzo: dovessi scegliere tra le due per una serata intima non avrei dubbi: anche in questo caso, forse sarà l’età). Ben altro discorso per Hilary Swank, bella, sensuale e la più brava del cast.

Il conto:
Spesi: 7,50 euro
Valore effettivo: 4,50 euro
Bilancio: -3 euro

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Tre per uno

Una delle difficoltà del blogger neofita è quella di far seguire alle intenzioni la pratica. In soldoni, e in questo caso: scrivere qualcosa su tutti i film che vado a vedere. Ad oggi, ne ho accumulati tre in sospeso (Brokeback mountain, La terra e Il cacciatore di teste). Mi libero delle pendenze in questo post riassuntivo.

Brokeback mountainParto dall’ultimo visto: Brokeback mountain.
Sull’onda dell’apprezzamento quasi unanime di amici attendibili, vado a vederlo ed ingaggio una strenua lotta contro il sonno. L’ho trovato lungo, noioso, deprimente. Il nocciolo drammatico è uno tra i più classici: questa vita è una valle di lacrime, le vite dei più (e degli eroi di questo tipo di storie) sono all’insegna della sfiga senza riscatto. Puoi avere anche un momento di felicità, puoi toccarla e verificarne la possibilità, ma sarai condannato a starne sempre più lontano, schiacciato dal peso delle tue sconfitte, quando non definitamente azzerato da un evento tragico. Il fatto è che, in questo film uggioso, nuvoloso, grigiastro, neanche la rappresentazione del momento felice riesce a comunicare felicità. E’ come se la condanna alla depressione non lasciasse alcuno spazio di decompressione. In questo senso, il film è un po’ più originale, per così dire. Ma lo spettatore (o almeno io) di solito preferisce avere almeno un po’ di alternanza emozionale.
Il conto:
Spesi: 5 euro (di mercoledì) / Valore effettivo: 4 euro / Bilancio: – 1,00

La terraLa Terra invece non mi ha deluso. Trovo che Sergio Rubini sia un autentico talento “outsider” piuttosto sottovalutato. Questo ultimo film mi è piaciuto solo un po’ meno di L’amore ritorna, ma lo consiglio a tutti per rifarsi la bocca con colori sapori storie e prove d’attore che soddisfano i palati affamati di nutrimenti cinematografici non dietetici e non addizionati di sostanze pallogene.
Una piccola notazione sulla musica Read more »

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