16 agosto 2010 by Marco
Ieri, 15 agosto, su un quotidiano napoletano, è uscito un raccontino estivo del vostro titolare. Data la data e la estrema improbabilità che lo abbiate letto numerosi (qui il link al pdf online), lo ripubblico qui. Buone vacanze.
“Noi veneriamo il silenzio”.
Il cartello, stampato in grossi caratteri azzurrini ed incorniciato in legno scuro, torreggiava sulla parete della sala esattamente in corrispondenza dell’austero chignon della bibliotecaria, l’irreprensibile miss Eunice Bartlett. Ora va precisato, per amor di verità, che non ci troviamo in una nebbiosa città britannica, magari in un solenne edificio vittoriano, odoroso di polveri secolari accumulatesi tra le pagine di pregiati volumi. No. La scena testé descritta ha luogo nella biblioteca comunale di Carditello, ridente paesino dell’entroterra campano, e, ci duole dirlo, il nome della bibliotecaria, che avevamo contraffatto per creare un’illusione romanzesca, è in realtà quello di Maria Addolorata Cannatiello, coniugata Piscopo. Era il quindici di luglio, e dalle finestre della non ampia sala, spalancate per il caldo e per la mancanza di climatizzazione, giungevano garrule le voci di giovani carditellesi intenti al giuoco del football (questo si, indubitabilmente britannico), ora incitantisi l’un l’altro nella tensione agonistica, ora veementemente recriminanti per occasioni perse o ingiustizie subite.
Si capirà dunque come il cartello descritto all’inizio, visto nel suo contesto, suoni come la rassegnata venerazione di un nume assente, di un dio che rifiuta di mostrarsi, piuttosto che un invito a non far baccano.
Cappiello Anna si avvicinò al banco e chiese a Mary – diminutivo anglosassone della signora Piscopo – se teneva il libro di quello scrittore russo che aveva scritto guerreppàce, ma no però guerreppàce, quell’altro con quella che poi alla fine si votta sotto al treno.
- Ah, Anna Karenina?
- Eh, si, quello. Chella cessa della Cacace ce l’ha assegnato per le vacanze. Speriamo che non è troppo grosso.
La pseudo-Eunice guardò Anna – curiosamente omonima della sfortunata eroina tolstoiana – con un’espressione di biasimo nel sopracciglio e si avviò verso gl’impolverati scaffali di fronte al finestrone.
Nel preciso istante in cui, individuato il volume, lo estraeva con piglio professionale, fu raggiunta in piena nuca da un Super Santos introdottosi fulmineo dalla finestra a seguito di un mal calibrato cross di Caramiello Eduardo, che per inciso era stato rimandato in tre materie, ed in quel momento avrebbe dovuto essere dal professore Caso a fare ripetizione.
- Chella granda bucchìn’ ‘e mammeta!…
La frase volteggiò leggiadra dallo spiazzo sottostante fino alle delicate orecchie di Maria Addolorata – nomen omen, almeno in questa circostanza –, che era rovinata sul linoleum verdolino. Fu seguita però da un più ragionato e supplichevole Signurì, scusate, ce lo ributtate il pallone?
Anna si era intanto precipitata a soccorrere la sventurata bibliotecaria e, presa da un moto di insorgenza civile, urlò verso la finestra: Vuò veré che mò t’o schiatto?! E manco chiede scusa! Ma siete proprio degli zulù!
Questa frase ebbe un effetto insperato.
Il Venerato Silenzio fece finalmente la sua comparsa. In lontananza, dalle verdi campagne dell’agro atellano, arrivavano smorzate le voci di cicale e cardellini, accompagnatori angelici del dio che aveva conquistato, temporaneamente ma con abbacinante gloria, quei settanta metri quadri di legno, muratura e alluminio anodizzato.
Mary Piscopo si rialzò, e spolverandosi la gonna lanciò uno sguardo di approvazione alla giudiziosa ragazza. Le porse il libro (pp. 804), suscitando nella giovane un fremito d’orrore, e le disse a bassa voce: – E’ bello, ti piacerà.
Ma il Venerato sparì così come si era presentato. I giovani sportsmen vociavano di sotto, dopo essersi ripresi dallo stupor mundi che li aveva attanagliati. La signora Cannatiello in Piscopo si aggiustò di nuovo la gonna e, rinunciando ad un proposito pedagogico più drastico per mancanza di forbici a portata di mano, gettò il pallone dalla finestra. Una barbarica ovazione lo accolse.
Anna salutò Mary, uscì dalla sala, si rimise le cuffiette e riprese l’ascolto di Antonacci.
La bibliotecaria si sedette dietro al banco e riprese a leggere l’articolo di Donna Moderna intitolato “Evasione fiscale e matrimoni omosessuali: le emozioni della settimana”.
Fuori, l’estate risplendeva sui verdi campi di asparagi e sulle placide bufale al pascolo.
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5 dicembre 2007 by Marco
Il titolare è contrito, traboccante rimorsi, ha containers di cenere pronta ad essere aspersa sulla sua ormai purtroppo vastissima fronte. Ma è andata così.
Forse mai era stato così latitante. Ma ha avuto qualche scusante. Una delle quali per il momento è riservata. Ma verrà resa palese inorno al 15 dicembre (incrociate le dita se vi va).
Ora -dopo la logora retorica della terza persona, riprendo la prima- ho tutte le intenzioni di ridare un po’ di continuità a questo blog, che tra un paio di mesi peraltro festeggerà il secondo anno di vita. Non che non ci siano, o non ci siano stati in questo periodo pretesti, idee, riflessioni, fatti e cose più o meno interessanti di cui parlare. Ma le energie e il tempo non erano evidentemente abbastanza. Dunque qui si riprende, e si riprende con una serie di pillole cinematografiche, due o tre parole sui film che ho visto nell’ ultimo periodo, giusto per non avere la sensazione della colpevole omissione.
Due giorni a Parigi, esordio alla regia di Julie Delpy è un film non indispensabile, logorroico ed imperfetto, ma non spiacevole da vedere, con momenti di divertimento (benchè si abbia spesso la sensazione di un Woody Allen minore, francese e davvero segaiolo).
La giusta distanza di Mazzacurati è altrettanto non necessario per le vite di ciascuno, non particolarmente nuovo negli ambienti e nei temi, ma ci si spendono volentieri aggettivi consunti come carino e garbato, utili per coloro per i quali tali aggettivi bastano per spendere i soldi di un biglietto. Per alcuni altri, o anche per gli stessi, potrebbe essere sufficiente la folgorante bellezza della protagonista.
Die Hard -ebbene sì-, visto in compiaciuta ed un po’ snob compagnia virile in pieno trend antiintellettuale -e quindi più che mai intellettuale, purtroppo- mantiene fin troppo ciò che promette. Si esce dalla sala sghignazzanti, commentando la quantità abbondantissima di cliché divertenti perché spudorati e quella ridottissima delle espressioni del protagonista e segretamente vogliosi di silenzi antonioniani, di camere fisse, dei monacali cineforum della nostra adolescenza.
Il film di Coppola, Un’altra giovinezza, meriterebbe una trattazione ben più estesa di queste quattro righe. Va visto da tutti coloro che amano Coppola ed il cinema in genere, e, massì, la letteratura, e Borges in particolare. Non perchè sia chissà quale capolavoro. Imperfetto, spesso implausibile, per qualcuno addirittura irritante, conserva però una magia ed una capacità di evocazione visiva che solo Coppola avrebbe potuto realizzare così (è probabile che chiunque altro, a partire dallo stesso materiale, avrebbe prodotto un’indigeribile schifezza). Mi è sembrato di scorgerci, oltre a Borges a camionate, anche citazioni, meno esplicite, di Kubrick. Coppola, Borges, Kubrick. Nella mia giovinezza, ma forse anche adesso, questi tre nomi rappresentavano una intoccabile trinità laica. Non potevo non vederlo, e, vistolo, non parlarne.
Che dire di Ratatouille? Se leggete i post precedenti relativi ai film d’animazione d’eccellenza, che amo alla follia, capirete già dove vado a parare. Splendido, intelligente, godibile, persino abbondante (in termini di lunghezza, cosa rara e faticosa, per chi lo realizza). Morale solo apparentemente banale: bisogna accettare ciò che si è. Ovvero, se sei topo, non puoi cambiarti in colombella. Ma se essendo topo sei igienista e buongustaio, e proustiano alchimista di sapori e sensazioni, devi accettare anche questo e lottare per la tua anomalia.
Across the universe, last (e se non è least, quasi), è il terzo, ma trionfatore sugli altri, della categoria degli innecessari. Innecessario fino a sfiorare l’inutilità. Quasi molesto per un Beatle fan come me. Se si glissa sulla storia scema e banale, sulla forzata ambientazione storico-sociologica-giovanilistica altrettanto convenzionale ed inoffensiva e ci si sofferma sulle canzoni -dignitosamente arrangiate ed interpretate- e su alcune idee visive non male, si può vedere. A patto, una volta ritornati a casa, di rivedersi immediatamente Yellow Submarine per ricordarsi cosa fosse davvero la creatività e la visionarietà innocente ed intelligente dei Beatles e del loro tempo. Roba rara al giorno d’oggi, signora mia.
PS: dopo aver pubblicato il post, mi sono reso conto di avere freudianamente rimosso (non a caso) un film visto recentemente: Tideland di Terry Gilliam. L’aggettivo delirante in questo caso si applica nella sua pienezza. E’ un vero delirio “d’autore”, una pippa pirotecnica, spesso sgradevole (mai però come Paura e disgusto a Las Vegas), talora con belle immagini. Ma si esce dal cinema scuotendo la testa all’unisono. Questo Gilliam qua, che era stato in qualche modo il maestro di Tim Burton, ora ne sembra il surrogato andato a male. Ma molto. Quasi tossico (parola pertinente al contenuto del film, peraltro).
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12 settembre 2007 by Marco
Su Grillo e il V-Day (argomento abbondantemente inflazionato), aggiungo solo un paio di osservazioni poi taccio.
La prima:
Delle tante sciocchezze, per così dire, che sono uscite dalla bocca del comico genovese sulla pubblica piazza, una, riportata da giornali e tv come particolarmente divertente, merita una piccola riflessione.
Riferendosi a Mastella, che pare gli abbia risposto sul proprio blog, Grillo si stupiva ironicamente. Pensate, un ministro che risponde con sollecitudine ad un comico… Ma ve lo immaginate Gordon Brown in Inghilterra che dialoga con Mister Bean?.. (risate del pubblico)... Ma vaffa…!
In sintesi, e se non mi è sfuggito qualcosa, magari non ho capito l’ironia, il succo è questo:
- Tu, politico, sei uno stronzo e magna magna, un esponente della casta che è il cancro della democrazia, sei arroccato nella tua torre di privilegi, staccato dal sentire vero del paese che io ho portato su questa piazza, a centinaia di migliaia. Ed hai col tuo indulto messo in libertà moltitudini di criminali… Io, noi, combattiamo te ed i tuoi pari, come possiamo, con leggi di iniziativa popolare. Stiamo facendo una battaglia politica tutti noi qui.
- Ok, ti rispondo. Non sono daccordo, dici cose sbagliate, il tuo collega comico Benigni mi elogia per quello di cui tu mi accusi….
- Ehi! Ma che fai, rispondi ad un comico? (non si capisce se Benigni o Grillo, ndr. S’è offeso per la qualifica? O pensa che un ministro debba far altro che rispondere a Benigni o a lui?) Cose da pazzi! Queste cose succedono sono in Italia!… Ma allora sei davvero stronzo!
In pratica, è fatale: sei comunque stronzo. Come il lupo che si mangia l’agnello. Anche se lui sta a monte del fiume, lui comunque l’agnello se lo magna. Dio mi perdoni per aver paragonato Mastella ad un Agnello. Di questo sei stato capace, Grillo! Di farmi prendere le parti di Mastella! Sei un essere perverso…. E, aggiungo magari tu fossi come Mister Bean. (E magarissimo Mastella fosse come Brown).
La seconda, che riguarda più che Grillo, una certa informazione:
Primo piano, rubrica del Tg3. Argomento: Grillo, l’antipolitica, i girotondi, i movimenti.
Ospite in studio: Pancho Pardi.
Ospite in collegamento: Marco Travaglio.
Una domanda tra le tante di tenore analogo:
Mannoni: Secondo voi, Grillo è un qualunquista?
Pardi: Tutt’altro, non mi sembra proprio…
Travaglio: E’ il contrario del qualunquismo….
Mi sono immaginato una trasmissione analoga, mettiamo, su Fidel Castro.
Ospite in studio: Chavez; ospite in collegamento Gianni Minà.
Domanda: secondo voi, Castro è un dittatore?
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17 gennaio 2007 by Marco
Diciamoci la verità, non morivo dalla voglia di andare a vedere questo film. Ci sono andato, chinando democraticamente il capo al volere della maggioranza, spendendo aristocraticamente sette cucuzze ed uscendo dal cinema con un preoccupante rigurgito totalitario.
Che dire di questo strombazzato nuovo Bond, attore meno espressivo del sigaro di Clint Eastwood, britannico quanto il dottor Goebbels, reso “sentimentale” e “proletario” per poter dire agli uffici stampa che il mito si rinnova, va al passo coi tempi? Di questo film esanime, annoiato e distratto anche nei momenti più spettacolari, privo di convinzione e di sostanza? Sfrondato di tutti gli elementi “fumettistici” dello 007 classico, dell’ironia, dei gadgets, della bidimensionalità apsicologica che era la forza di un personaggio che era un cartoon per adulti, sullo schermo non resta praticamente nulla. Qualche bel panorama, qualche bella gnocca, un po’ di combattimenti, un palazzo veneziano che si sfrolla in laguna come un pandoro inzuppato nel caffellatte e poco più. Il rovello sentimentale di James Bond (che qui si vorrebbe talvolta mostrare) identifica il concetto che meglio descrive questo film: impossibile, anzi inesistente.
Poi dice che non è meglio la dittatura, signora mia….
Il conto:
Spesi: 7,00 euro
Valore effettivo: 3,00 euro
Bilancio: -4,00 euro
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3 gennaio 2007 by Marco
A Natale si andava a vedere i cartoni, da piccoli. Da grandi, nel mio caso, ci si va talvolta più spesso che da piccoli. E, nove volte su dieci, non si resta delusi. Qui si trattava della nuova produzione del team Dreamworks / Aardman (ovvero Spielberg più Wallace e Gromit), team inaugurato con Galline in fuga e proseguito con il film sul coniglio mannaro dei due irresistibili personaggi di plastilina. Che dire, se non che l’unico neo di questo genere di appuntamenti è la assoluta prevedibilità del fatto che sai bene cosa ti aspetterà e questo felice pronostico si conferma puntualmente. Un film delizioso, intelligente, pieno di trovate e di personaggi esilaranti, scorretto quanto basta (il nodo narrativo da cui si dipana tutto è il tuffo con sciacquonata nella tazza del water, che porta il topo protagonista in un elaboratissimo mondo fognario) e altrettanto corretto nella morale (meglio poveri, incasinati, ma tanti e solidali, e col calore delle relazioni, anche se si vive letteralmente in una chiavica, che ricchi e soli). Un tocco particolare è l’ambientazione molto britannica, sia in certi dettagli d’ambiente che in molte situazioni della sceneggiatura, fatto questo che rende il tutto un po’ più originale rispetto ai pur splendidi omologhi americani.
Finale alla grande con Tom Jones (citato anche nella storia) sui titoli di coda. Bisognerà che prima o poi scriva qualcosa su quest’uomo, che dagli abissi del trash, è diventato negli ultimi anni l’icona del godimento pop senza pudori, citato e suonato in tutte le salse. I titoli finali, come sempre, vanno visti tutti. Per farlo, noi ed un altro paio di valorosi abbiamo resistito indomiti alle luci accese e alle maschere che ci volevano far sloggiare. Chissa se succede solo a Napoli, tutto ciò.
Ho fatto un salto sul divertente sito ufficiale, dove tra l’altro ci sono dei trailers in cui compaiono misteriosamente due personaggi di cui nel film non c’è traccia, e perdipiù nelle stesse scene viste al cinema. Uno scherzo?
Il conto:
Spesi: 7,00 euro
Valore effettivo: 7,00 euro
Bilancio: +0,00
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Tags: aardman, cartoons, cinema, cultura pop, steven spielberg, tom jones, UK
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18 gennaio 2006 by Marco
Una delle cose che fanno in molti sui blog, e che mi ripromettevo di fare anch’io, è parlare dei miei “consumi culturali”: cose che ho visto, letto, ascoltato. Non proprio recensioni: poco più di un mi è piaciuto/non mi è piaciuto.
Il primo di questi post -il presente-, mi fornisce un’idea aggiuntiva. Eccola.
Ieri ho visto Lady Henderson Presenta di Stephen Frears. Vedendolo, ho pensato: vale i soldi del biglietto (7 euro, tariffa festiva). Ed è già un fatto positivo, no? Spesso esco dalla sala con la sensazione di essere stato vittima di furto con destrezza. Quindi questo mi pare un ragionevole criterio per giudicare i cosiddetti prodotti dell’ingegno, che pur sempre merci sono: quanto ho pagato, quanto valeva, ci ho perso, ci ho rimesso.
Nello specifico: attori straordinari, divertente, intelligente. Personaggi ed ambientazione abbastanza classici da soddisfare il desiderio di familiarità con le cose che si amano perchè si conoscono già, ma abbastanza poco convenzionali da non turbare la coscienza del cinefilo moralista. Nella seconda parte la commedia scivola verso il dramma, ma senza esagerare e senza dare l’idea -frequente tentazione degli sceneggiatori eccesivamente coscienziosi- che si debba redimere la troppa leggerezza con la serietà redentrice. Frears non ne ha avuto bisogno. Ogni leggerezza ha la consistenza dell’intelligenza, ogni serietà sottindende -e in un punto afferma esplicitamente per bocca della protagonista- il movimento della vita e del diritto alla gioia anche sotto le bombe di Hitler.
Il conto:
Spesi: 7 euro
Valore effettivo: 7 euro
Bilancio: 0,00
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